Don’t look Up, è il film dell’anno?

E’ diventato il film più discusso dell’anno e forse il più apprezzato, ma cosa c’è veramente dietro il cast stellare e le tematiche così attuali?

Se fosse una ricetta gastronomica il livello di difficoltà sarebbe basso e gli ingredienti i seguenti: Di Caprio, Meryl Streep, un goffo incrocio tra Steve Jobs e Elon Musk, abbondante e insipida critica al capitalismo e un contorno di banali stereotipi; si raccomanda di condire il tutto con una considerevole quantità di moralismoEcco servito Don’t look Up, il film dell’anno! 

Un film geniale?

Anche ad una sommaria analisi degli elementi in gioco, appare evidente quanto fosse prevedibile un tale successo, fagocitato da una profonda spaccatura di opinioni sul web. Il fenomeno Don’t look Up è ancora in corso e la perpetua diatriba tra chi la considera una pellicola rivelatrice e chi invece una dozzinale operazione commerciale, continua ad alimentarne la popolarità. La trama è semplice: un enorme meteorite si schianterà sulla terra in pochi mesi e i due scienziati ad averlo scoperto, nel tentativo di avvertire il resto del mondo, dovranno faticosamente remare nella quotidiana tormenta della comunicazione moderna. Andando oltre al facile parallelismo tra il meteorite del film e l’emergenza climatica in corso nel nostro mondo, è interessante valutare la qualità delle tematiche che ne scaturiscono, analizzandone l’efficacia. La prima e più ingombrante risulta essere quella relativa al controverso presidente Jaen Orlean, che, caratterizzata da una retorica platealmente ispirata al ex presidente Donald Trump, rappresenta l’emblema della deludente e costante semplificazione che contraddistingue, più in generale, l’intero assetto satirico del lungometraggio. La scrittura del personaggio interpretato da Meryl Streep, infatti, non si occupa di celare elegantemente la tesi politica del suo autore, ma al contrario, ce la sbatte in faccia, urlando goffamente: “I repubblicani sono cinici e superficiali e il potere, in ogni sua forma, è corrotto”. E’ scontato constatare, all’interno di un prodotto di questo tipo, l’importanza di esprimere i concetti con forza e semplicità, tuttavia, un così spudorato appiattimento rischia di rendere ogni critica poco credibile, svuotando Don’t look up della sua agognata incisività.

La figura di Peter Isherwell, ibrido dei più potenti uomini al mondo, non fa che confermare le precedenti impressioni, attraverso il più scontato degli schemi: il potente CEO di un azienda tecnologica insegue ciecamente il capitale, mettendo a rischio l’incolumità del pianeta. Questo sporco capitalista non farà altro che acuire la netta divisione, mostrata lungo tutti i 138 minuti del film, tra insensibili ricchi ed onesti lavoratori oppressi, la quale francamente, esprime un messaggio tanto banale, quanto didascalico.

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La ricetta di Adam Mckey, dunque, riesce solo nel consueto intento di sfamarci, dando forma ad un piatto prevedibile e generalmente sciapo, cucinato con la paura di tentare sapori particolari o inediti, poco compatibili con il palato di una clientela tanto ampia.

 

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