Il nostro Paese brilla in Europa per riciclo, rinnovabili e agricoltura biologica, ma resta indietro dove conta di più: consumo di suolo, biodiversità e adattamento climatico. Ne abbiamo parlato con un’esperta di Ispra.
L’Italia è leader nell’economia circolare con un tasso di utilizzo circolare dei materiali raggiugiamo il 20,8% nel 2023, quasi il doppio della media Ue (11,8%). Ma la biodiversità italiana, una delle più ricche nel vecchio continente, continua ad essere sotto pressione. 
Sono le due facce dell’Italia green raccontate da tre rapporti diffusi in questi giorni: Europe’s Environment 2025 dell’Agenzia europea per l’Ambiente, Stato dell’ambiente in Italia 2025: indicatori e analisi di Ispra e il dossier ambiente di Snpa. Una visione multilivello della situazione ambientale europea, nazionale e regionale. Che evidenza la necessità di una rete istituzionale basata su conoscenza condivisa e responsabilità.
Ne abbiamo parlato Maria Concetta Giunta, responsabile del Servizio per l’informazione, le statistiche ed il reporting sullo stato dell’ambiente di Ispra. “L’apparente contraddizione – ha sottolineato l’esperta – riflette la natura complessa e disomogenea della trasformazione sostenibile in Italia, dove il quadro complessivo mostra ancora delle criticità e si osservano dinamiche contrastanti. I dati dimostrano che l’Italia è in una posizione di leadership in Europa per molti indicatori di economia circolare.
Giunta (Ispra): “Modelli produttivi e pianificazione territoriale non ancora pienamente integrati con gli obiettivi ambientali”
Nel 2023, il tasso di circolarità dei materiali si è attestato al 20,8%, superando significativamente il valore europeo dell’11,8%. Inoltre, il tasso di riciclaggio dei rifiuti urbani ha raggiunto il 50,8% nel 2023, superando l’obiettivo del 50% fissato per il 2020 e collocandosi al di sopra del valore medio Ue. Questi successi sono in gran parte dovuti all’efficacia delle politiche di gestione dei rifiuti e al solido settore industriale di recupero dei materiali.
Nonostante questi progressi, indicatori di pressione sul territorio rivelano criticità. Il consumo netto di suolo prosegue, con 7.850 ettari (pari a 78,5 km²) consumati nel 2024, un dato che, dal punto di vista ambientale, mantiene un trend negativo e si rivela ben lontano dal target dello ‘zero netto’ entro il 2050. Similmente, la biodiversità è minacciata dalla frammentazione territoriale, con oltre il 40% del territorio soggetto a frammentazione ‘elevata’ e ‘molto elevata’. E habitat critici in regioni ad alta densità come Lombardia e Veneto. Inoltre, soltanto l’8% degli habitat terrestri e delle acque interne è in uno stato di conservazione favorevole. 
Questa ‘transizione a metà’ suggerisce che i modelli produttivi e, soprattutto, la pianificazione territoriale non sono ancora pienamente integrati con gli obiettivi ambientali. L’espansione urbana e la frammentazione degli habitat continuano ad agire come driver di rischio principali. L’azione necessaria dovrebbe quindi basarsi su una visione condivisa delle priorità ambientali guidata da dati e indicatori solidi. Il ruolo delle istituzioni tecnico-scientifiche come Ispra e Snpa è quello di fornire questa conoscenza chiara, trasparente e accessibile, supportando i decisori politici, le imprese e i cittadini nell’orientare le scelte verso un impegno costante e pragmatico”.
Anche l’Europa si conferma quindi leader mondiale nell’impegno per il clima. Riduce le emissioni di gas serra e l’uso di combustibili fossili, mentre raddoppia la quota di energie rinnovabili dal 2005. Passi significativi sulla qualità dell’aria, l’economia circolare e l’efficienza delle risorse. Ulteriori progressi sono stati raggiunti su una serie di fattori che consentono la transizione verso la sostenibilità.
“Sul lato della mitigazione l’Italia sta progredendo”
Più complessa la situazione della biodiversità in Europa; in crisi in tutti gli ecosistemi: terrestri, di acqua dolce e marini. Ciò a causa delle persistenti pressioni esercitate da modelli di produzione e consumo non sostenibili. Europa sotto stress anche sui cambiamenti climatici. È il continente che si riscalda più rapidamente nell’intero pianeta. Il 2024 è stato l’anno più caldo dal 1961 e i danni economici legati agli eventi estremi sono quintuplicati in sette anni.
“I dati mostrano un quadro misto. – ha continuato Giunta – Sul lato della mitigazione l’Italia sta progredendo. Tra il 1990 e il 2023, le emissioni di gas serra sono diminuite del 26,4%. Tuttavia, per raggiungere il target vincolante del -43,7% al 2030 nei settori non Ets (come i trasporti), è necessario intensificare gli sforzi e adottare politiche aggiuntive, poiché l’attuale traiettoria non è sufficiente. 
Sul fronte dell’adattamento la vulnerabilità del territorio è elevata: il 94,5% dei comuni italiani risulta esposto a rischio di frane, alluvioni e/o erosione costiera. L’impatto economico degli eventi estremi è in crescita. L’analisi del trend delle perdite economiche pro capite in Italia, tra il 1990 e il 2023, evidenzia che il valore è quintuplicato nel 2023 rispetto al 2016. Nonostante l’evidenza oggettiva degli impatti e dei costi crescenti, l’adattamento mostra un ritardo nell’attuazione.
L’adattamento climatico, che comprende le azioni volte a ridurre la vulnerabilità dei sistemi, si basa su strategie e piani la cui adozione a livello regionale procede lentamente. Nel 2025, solo sette Regioni hanno approvato le Strategie di adattamento, un numero giudicato ‘ancora del tutto insufficiente’, ma tutte hanno inserito il tema dell’adattamento climatico tra le priorità della propria programmazione ambientale.
“L’efficacia del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici dipende dalle capacità delle amministrazioni locali”
Il problema tecnico risiede non solo nella mancata adozione di queste strategie ma soprattutto nella loro scarsa attuazione. I Piani di adattamento (che dovrebbero contenere le azioni concrete e le misure da adottare) hanno visto solo un incremento di un’unità attuata rispetto al 2021. Questa lentezza nell’implementazione suggerisce che livello locale è necessario provvedere alla stesura dei piani.
Ciò che blocca una piena e rapida adozione è, da un lato, l’assenza di un quadro normativo nazionale vincolante che obblighi gli enti territoriali a dotarsi di tali strumenti. Dall’altro lato, i dati suggeriscono che, nonostante la consapevolezza del rischio, non è ancora percepito pienamente il concetto di necessità nell’attuare i Piani. Che dovrebbero contenere le azioni e le misure concrete di riduzione della vulnerabilità. L’efficacia del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc, 2023) dipenderà dalla capacità delle amministrazioni locali di tradurre gli indirizzi nazionali in interventi concreti e dal rafforzamento di una governance multilivello”. 
I rapporti mettono in evidenza forti disuguaglianze territoriali. Ci sono regioni virtuose nella raccolta differenziata e nelle rinnovabili, e altre ancora molto indietro. Quanto pesa la frammentazione amministrativa sull’efficacia delle politiche ambientali? È arrivato il momento di pensare a una governance nazionale più centralizzata su clima, energia e uso del suolo per superare questi divari?
“I rapporti che elaboriamo mettono in netta evidenza una forte eterogeneità territoriale nelle performance ambientali. – ha dichiarato l’esperta Ispra – L’Italia, pur mostrando un miglioramento su molti fronti, presenta disparità significative in settori chiave. La raccolta differenziata è in crescita in tutte le macroaree. Ma le percentuali regionali variano ampiamente (es. Lombardia al 73,9%, contro il 55,2% della Sicilia nel 2023).
Una sfida alla coerenza e all’efficacia delle politiche ambientali nazionali
Nel campo delle rinnovabili alcuni territori montani come la Valle d’Aosta (96,3%), la Provincia autonoma di Bolzano (59,2%) e la Provincia autonoma di Trento (46,6%) eccellono grazie all’elevata disponibilità di risorse idroelettriche. Al contrario, regioni come Liguria (9,1%), Emilia-Romagna (11,1%) e Lazio (11,9%) presentano quote più basse, evidenziando un divario significativo. Similmente, il consumo di suolo è nettamente inferiore in Trentino (3,09%) rispetto alla Lombardia (12,22%) e al Veneto (11,86%).
In un’ottica puramente tecnica, poiché la domanda di per sé ha un taglio più politico che tecnico, si ritiene che la frammentazione amministrativa e l’eterogeneità delle performance regionali possano rappresentare una sfida alla coerenza e all’efficacia delle politiche ambientali nazionali. Ispra e Snpa operano proprio per mitigare la frammentazione informativa. Gli indicatori ambientali che produciamo sono l’elemento di collegamento tra i livelli — europeo, nazionale e regionale — garantendo coerenza, comparabilità e un linguaggio comune per l’analisi e la governance.
La stessa presentazione congiunta dei rapporti serve proprio a verificare la coerenza delle politiche e a rafforzare la cooperazione istituzionale. Il superamento di questi divari non è tecnicamente individuabile in una ‘centralizzazione’ fine a sé stessa. Ma piuttosto nella necessità di rafforzare la governance multilivello e l’applicazione coerente delle strategie.
I rapporti si propongono come strumenti per la traduzione e applicazione dei grandi obiettivi di sostenibilità sul territorio. La loro efficacia dipende dalla capacità delle amministrazioni locali di tradurre gli indirizzi nazionali in interventi concreti. Per far progredire in modo uniforme il Paese, è indispensabile che le decisioni vengano orientate da indicatori solidi e da una visione condivisa delle priorità. Assicurando che l’azione comune si traduca in scelte concrete, capaci di conciliare sostenibilità e pragmatismo”.





