Inchiesta sull’omicidio del 35enne Alessandro Venier a Gemona del Friuli: il legale di Lorena ha chiesto la perizia psichiatrica per la donna che si è autoaccusata di aver ucciso e fatto a pezzi il figlio.
“Si può sicuramente parlare di un legame tossico tra le due donne, Lorena Venier e Maylin Castro Monsalvo. Alessandro non era più un figlio e un compagno, ma il loro nemico interno. Un completo collasso relazionale”.
Un corto circuito sfociato quindi in un delitto brutale e macabro avvenuto tra le mura di quella casa in cui Lorena aveva cresciuto Alessandro Venier sin da piccolo. A parlare, in esclusiva per Notizie.com, è Flavia Munafò, criminologa, direttrice dello sportello di ascolto e prevenzione Socio Donna di Roma, presidente di Sia (Sociologi italiani associati).
Venier, stando a quanto sta emergendo dalle indagini e dalle confessioni delle due donne, è stato ucciso, fatto a pezzi e il suo cadavere occultato in un bidone posto nell’autorimessa di casa a Gemona del Friuli. Qui i carabinieri hanno scoperto l’orrore il 31 luglio scorso. L’omicidio risalirebbe invece al 25 luglio ma Maylin si sarebbe convinta ad avvertire le autorità quasi una settimana dopo i fatti.
Munafò in esclusiva per Notizie.com: “Loren Venier è definibile come la matriarca”
Nella telefonata al 112 Mailyn, in un italiano incerto, ha denunciato all’operatore che la suocera aveva ucciso il figlio. All’arrivo sul posto i militari hanno incalzato le donne. Lorena ha provato a minimizzare, affermando che la nuora era in stato confusionale per i suoi problemi di depressione post parto. Alla fine Mailyn ha indicato ai carabinieri l’autorimessa, nella quale è stato, appunto, trovato il cadavere sezionato. Il movente sarebbe da ricondurre ad un clima di tensione dovuto agli atteggiamenti sempre più violenti del giovane contro la compagna. Inoltre stavano per diventare definitive alcune sentenze per dei reati che Alessandro aveva commesso negli anni passati, e per questo voleva andare via definitivamente dall’Italia per trasferirsi in Colombia.
“I dati da considerare sono diversi. – ha detto Munafò – Lui, Alessandro Venier, era economicamente dipendente. Quindi c’era una situazione di necessità da parte della vittima nei confronti della madre. Lorena era il pilastro economico della famiglia, definibile come la matriarca. La compagna di lui, Maylin Castro Monsalvo, descritta da Lorena come una figlia adottiva, più precisamente come ‘la figlia che non ha mai avuto’. Il delitto si può delineare non come un raptus, ma come un omicidio pianificato”.
Lorena e Maylin sono accusate dalla Procura della Repubblica di Udine di aver pianificato ed eseguito l’omicidio con un laccio e poi di aver sezionato il corpo. La 61enne infermiera ha però raccontato a pm e gip di essersi occupata da sola del depezzamento del corpo del figlio. Lorena avrebbe utilizzato un seghetto e un lenzuolo per contenere il sangue.
“L’ho sezionato in tre pezzi – ha detto agli inquirenti – non ci sono stati schizzi, per questo i carabinieri hanno trovato tutto in ordine”. Le donne erano intenzionate ad attendere che il corpo si decomponesse, coprendolo con la calce viva per non lasciar sprigionare miasmi, per poi abbandonarlo in montagna.
Delitto di Gemona, la codipendenza e il punto di rottura
“Non ci possiamo permettere di poter ipotizzare cause come un disturbo psicotico condiviso senza una perizia. – ha continuato la criminologa – Ma possiamo certamente portare all’attenzione questo rapporto di codipendenza per cui le due donne si sono trovate a gestire il punto di rottura, che in questo caso era il figlio e il compagno, con una premeditazione. Andare a dividere il corpo e soprattutto acquistare preventivamente la calce per poter nascondere l’odore della decomposizione è qualcosa di veramente orribile”.
La perizia psichiatrica è stata chiesta in queste ore da Giovanni De Nardo, legale della donna. Quest’ultima si trova rinchiusa, e guardata a vista dalla polizia penitenziaria, nel carcere del Coroneo a Trieste. “La 61enne aveva dei problemi neurologici, – ha spiegato l’avvocato – e di recente si era sottoposta a un intervento per la riduzione dello stomaco. Una situazione che l’aveva segnata”.
Maylin, che si trova invece in una comunità protetta, si è avvalsa della facoltà di non rispondere ai magistrati dopo che si era sentita male. Castro era in cura da una psichiatra per una probabile depressione post partum. Sei mesi fa aveva dato alla luce una bimba che adesso è affidata ai Servizi sociali del Comune di Gemiona.
“Quello che a me preoccupa di più è la bambina di sei mesi che non ha vissuto e non ha compreso cos’è accaduto, in quanto in età infantile. – ha concluso Flavia Munafò – Sicuramente deve essere trattata con molta attenzione. L’invito più grande è quello chiaramente al sindaco di Gemona Roberto Revelant di porre una particolare attenzione attraverso i Servizi sociali a quello che sarà l’impatto della piccola che passa da una situazione familiare, per quanto disfunzionale, ad una situazione di struttura, che chiaramente è un contesto completamente differente”.