“Non giudico le strategie politiche. Ma dal punto di vista energetico l’Europa si è messa in una posizione scomoda in cui la coperta inizia ad essere molto stretta”.
A parlare, in esclusiva per Notizie.com, è Marco Lupo. Quest’ultimo è amministratore e direttore commerciale di Utilities dimension, delegato Assium Emilia Romagna ed esperto nei settori dell’energia elettrica e del gas naturale. Negli ultimi giorni, alla luce dell’escalation tra Iran ed Israele, i prezzi di carburanti, luce e gas sono saliti alle stelle. Gli italiani hanno già toccato con mano il “costo” dell’instabilità geopolitca. Abbiamo provato perciò a fare il punto della situazione.
“Almeno in questa fase del conflitto – ha spiegato Lupo – il rischio energetico per l’Europa è indiretto. Ovvero si traduce in ricadute sui prezzi di trasporto (nolo, assicurazione, carburante), dettata dall’instabilità e dall’alto rischio delle tratte marittime dello stretto di Hormuz, che è snodo cruciale dei Paesi del Golfo, da cui transitano circa il 20% del petrolio e del gnl (gas naturale liquefatto, ndr) mondiale”.
Un eventuale blocco o anche solo tensioni militari prolungate porterebbero quindi a una crescita esponenziale del fenomeno speculativo. Fenomeno che andrebbe a colpire in maniera determinante i prezzi europei di energia, gas, carbone e petrolio che sono fortemente interconnessi tra loro. È bene anche ricordare che l’Europa sul piano energetico dipende molto poco dall’Iran. Ciò anche per effetto delle sanzioni imposte da Unione europea e Stati Uniti applicate in passato.
Marco Lupo in esclusiva per Notizie.com: “Ipotesi compromissione dei corridoi alternativi”
“Ma in caso di un’escalation avanzata è molto probabile che anche i cosiddetti corridoi alternativi verrebbero compromessi. – ha continuato l’esperto – In parole povere, le rotte che dovrebbero seguire le materie prime verso i Paesi occidentali per aggirare l’ostacolo iraniano potrebbero anch’esse diventare instabili. Basti pensare al corridoio Sud-Caucasico, che porta gas dall’Azerbaigian all’Europa attraverso la Turchia. Se il conflitto si estendesse o generasse nuove tensioni tra Iran e Azerbaigian (già oggi in rapporti tesi), anche quel percorso potrebbe subire rallentamenti o interruzioni, mettendo a rischio la diversificazione delle forniture”.
Inoltre una fase acuta ed estesa del conflitto porterebbe a un diretto problema sugli
approvvigionamenti. Minori disponibilità di gnl e petrolio creerebbero competizione per fonti alternative come il carbone che inevitabilmente porterebbe il suo prezzo a salire. Fornitori fondamentali come Algeria e Qatar potrebbero trovarsi sotto pressione politica o logistica. La maggiore dipendenza europea dal gnl, accentuata dal recente taglio della fornitura di gas russo e da infrastrutture ancora da completare per sostenere la transizione verso gnl, rende l’Ue particolarmente esposta a shock esterni e instabilità geopolitiche.
“Gli Stati Uniti in caso di problemi avrebbero potuto essere un salvagente per il nostro continente, – ha sottolineato il direttore commerciale – mentre ora rappresentano il nostro primo fornitore di gas coprendo circa il 50% dell’importazione Europea. Non giudico le strategie politiche, ma dal punto di vista energetico l’Europa si è messa in una posizione scomoda in cui la coperta inizia ad essere molto stretta”.
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Ma il programma nucleare iraniano può rappresentare una reale alternativa alle fonti fossili o è solo pressione geopolitica? “In teoria, potrebbe rappresentare una valida alternativa interna alle fonti fossili, – ha specificato Lupo – alleggerendo il consumo di gas e petrolio e lasciandone una maggiore quota per l’export. L’Iran ha capacità tecniche e una crescente domanda energetica, soprattutto elettrica. Tuttavia, nella realtà, il programma è ostacolato da sanzioni e sospetti internazionali. Questo contesto lo rende oggi più un elemento di pressione geopolitica che un reale progetto di sviluppo energetico. Il potenziale civile c’è, ma le tensioni attuali ne limitano l’applicazione concreta”.
L’Iran possiede il 9% delle risorse globali di petrolio
Secondo l’esperto l’Iran è un Paese energeticamente autosufficiente per risorse. Basti citare i 157 miliardi di barili di petrolio prodotti, pari a quasi il 9% delle riserve globali. È il quarto Paese al mondo per riserve di petrolio. Le criticità sono tutte sul piano delle infrastrutture. Ciò può portare il Paese a reggere un isolamento interno. Anche se pagherebbe un prezzo elevato in termini di innovazione e capacità di investimento. Perché gran parte della sua rete è obsoleta e dipendente da tecnologie estere.
“Il punto critico, però, – ci ha detto il delegato di Assium – non è tanto la sua autosufficienza quanto la sua uscita dal mercato globale: meno gas e petrolio disponibili per l’export significherebbero maggiore pressione su altri fornitori, e più volatilità nei mercati di quanta già non attanagli i nostri indici. In un sistema energetico interconnesso come quello attuale, anche un attore isolato incide fortemente sugli equilibri globali”.
Un’escalation tra Iran e Israele, soprattutto con un coinvolgimento militare diretto o attacchi mirati a infrastrutture energetiche regionali, potrebbe aggravare la volatilità dei prezzi già oggi alimentata da un clima di forte incertezza. I mercati reagiscono con anticipo e nervosismo, spesso anche solo a dichiarazioni politiche. È il terreno ideale per la speculazione finanziaria, soprattutto su asset come gas, petrolio e carbone.
Un rischio concreto riguarda anche la corsa ad approvvigionamenti alternativi. Se le forniture dal Golfo Persico si riducessero o rallentassero, l’Europa, già scottata dalla crisi con la Russia, si troverebbe a competere con l’Asia per il gnl disponibile sul mercato. Questo significherebbe non solo prezzi più alti. Ma anche una dipendenza ancora più accentuata da Stati Uniti, Algeria e Qatar, mettendo sotto stress infrastrutture, logistica e sistemi di rigassificazione. L’Europa si trova in una posizione vulnerabile: se la crisi dovesse acuirsi, la priorità non sarebbe più il prezzo, ma la disponibilità stessa dell’energia. E quando questo accade, ogni margine di manovra politica ed economica si riduce drasticamente.
Guerra Iran-Israele, ogni frizione diplomatica ha ripercussioni immediate
E in caso di un allargamento del conflitto o di una corsa all’uranio da parte dell’Iran, quale rischio corre l’Europa in termini di volatilità dei prezzi energetici, speculazione e nuove dipendenze? “Credo che il discorso dell’uranio resti confinato alle dinamiche delle frizioni in atto. Una crisi estesa in Medio Oriente rischia di ridisegnare gli equilibri energetici globali, soprattutto se coinvolge aree chiave per l’export di petrolio e gnl. – ha concluso Marco Lupo – L’Europa, dopo aver perso l’affidabilità del gas russo, ha già spostato le sue dipendenze su fornitori come Stati Uniti, Qatar e Algeria. Se il conflitto compromettesse le rotte del Golfo o spingesse altri Paesi a ridurre l’export per motivi strategici, ci troveremmo a dipendere in modo ancor più marcato da pochissimi attori”.
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“Il problema non sarebbe solo di prezzo, ma di esposizione sistemica: ogni frizione diplomatica o logistica avrebbe ripercussioni immediate. In uno scenario simile, l’accesso all’energia torna a essere una questione di geopolitica e influenza, non solo di mercato. Come amministratore di una società che lavora ogni giorno su questi equilibri, ritengo urgente per l’Europa costruire una politica energetica che non sia solo reattiva ma lungimirante. Altrimenti, più che verso la transizione, rischiamo di andare incontro a una nuova stagione di vulnerabilità strutturale“.