La guerra tra Usa, Israele e l’Iran riguarda per forza di cose anche l’Italia: il governo potenzia le misure di sicurezza in alcuni siti strategici.
Le conseguenze dell’attacco Usa all’Iran sono incerte non solo in Medio Oriente, ma anche nel resto del mondo e in Italia. Il nostro Paese infatti, ospita numerose basi militari americane e della Nato, alcune note, altre forse no. Tutti gli obiettivi sensibili sotto osservazione.
Proprio per questo, da quando Donald Trump è entrato ufficialmente nel conflitto intrapreso da Israele per combattere la corsa nucleare dell’Iran, anche l’Italia si sta preparando ad affrontare al meglio eventuali rischi. La premier Giorgia Meloni ha convocato una riunione d’urgenza in videocall con i ministri interessati (Tajani, Crosetto, Piantedosi, Salvini e Giorgetti), i sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari e i vertici dell’intelligence.
Le misure di sicurezza sono state potenziate, così come la sorveglianza degli obiettivi sensibili americani e dell’ambasciatore. All’attenzione dell’intelligence, anche la seconda giornata del Giubileo dei governanti e le circa 250 sedi di enti ebraici e iraniani.
L’allerta è alta anche nelle basi Usa in Italia, da Aviano a Sigonella, dove sono stati rafforzati i dispositivi di sicurezza per tenere i militari al sicuro. Ambasciate, consolati, residenze diplomatiche e sedi rappresentative dei Paesi coinvolte nella guerra in Medio Oriente, sono stati sottoposti a misure straordinarie di controllo e protezione.
Piantedosi e Tajani al lavoro per sicurezza interna e diplomazia
Alla Farnesina è prevista nel pomeriggio di domenica 22 giugno una riunione di tutti gli ambasciatori d’Italia dell’area mediorientale. Anche se come ha dichiarato Tajani, l’Iran non considera l’Italia un Paese ostile, i rischi restano. E per questo sono stati messi in sicurezza massima tutti gli obiettivi americani, israeliani e italiani nel Paese, “per evitare che ci possano essere attacchi”.
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha convocato una riunione del Comitato analisi strategica antiterrorismo (CASA) e un’altra con il Comitato nazionale ordine e sicurezza pubblica. Ad entrambe parteciperanno vertici dell’intelligence e delle forze di polizia.
“Questo bombardamento cambia completamente lo scenario”, ha detto il ministro della Difesa Guido Crosetto al Tg1, “si apre una crisi molto più grande”. Il rischio è ovviamente che l’Iran possa reagire, “c’è da attendersi una risposta molto più forte che rischia di allargarsi a tutti gli obiettivi americani”.
Seguendo il corso degli eventi, già nei giorni scorsi l’Italia ha cominciato a prendere misure di protezione, mettendo in sicurezza i contingenti italiani in Medio Oriente. I militari del nostro Paese in missione “non sono coinvolti e non sono neanche un obiettivo nella risposta iraniana”, ha spiegato Crosetto. Le misure di protezione sono servite a “spostare” i soldati vicini ai possibili obiettivi americani.
Interessato alla situazione è ovviamente anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che porta avanti la linea della de-escalation e dei negoziati. Sempre nei giorni precedenti all’attacco Usa, ci sono stati due incontri con il suo omologo iraniano Abbas Araghchi, allo scopo di ospitare a Roma una riunione tra l’Iran e gli Usa. Uno si è tenuto direttamente con Tajani, l’altro invece, con l’ambasciatrice italiana a Teheran.
Tajani: “Prese tutte le misure, ma noi puntiamo sulla diplomazia”
“Siamo al lavoro per favorire una de-escalation”, ha detto il vicepremier azzurro al Tg1. “Una soluzione diplomatica di questa vicenda. Speriamo che l’Iran accetti di sedersi a un tavolo dopo un’azione che punta a impedire la creazione di una bomba atomica, che rappresenterebbe un pericolo per tutta l’area mediorientale”.
“Il governo ha già predisposto tutto ciò che serve anche in caso di peggioramento della situazione”, ha detto ancora il ministro degli Esteri al Tg4. Inclusa la valutazione delle conseguenze economiche per l’energia se dovesse essere chiuso lo Stretto di Hormuz, il corridoio marittimo attraverso il quale passa un quinto della fornitura mondiale di petrolio e gas liquido. “Ma noi non vogliamo che ci sia un peggioramento, puntiamo sulla diplomazia”.
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