Ancora un passo in avanti nella nuova inchiesta sul delitto di Garlasco: un dattiloscopista andrà a caccia di impronte sui rifiuti. Ma di cosa si occuperà e, soprattutto, perché non era mai stato fatto prima?
L’impressione è che i pm della nuova inchiesta sul delitto di Garlasco passo dopo passo siano intenzionati a chiudere il cerchio, anche se dall’esterno non si riescono a vederne perfettamente le linee, tutt’altro. Oggi il gip ha nominato un nuovo esperto chiamato a chiarire tutto il quadro: il dattiloscopista Domenico Marchigiani.
Il perito è stato incaricato di rilevare impronte sulla spazzatura trovata in casa di Chiara Poggi, uccisa il 13 agosto del 2007 a Garlasco. L’ambito è quello dell’incidente probatorio che ha lo scopo di raccogliere prove e indizi e “congelare” tutto in vista di un eventuale processo. Un’operazione delicata e particolare, visto che si sta operando su tracce e reperti vecchi di diciotto anni.
In particolare le indagini si stanno concentrando sull’ipotesi che Chiara non sia stata aggredita e uccisa brutalmente subito dopo che ha aperto la porta al proprio assassino. Bensì la 26enne potrebbe aver trascorso del tempo, presumibilmente a colazione, con la persona o con le persone che le hanno poi tolto la vita. A livello genetico, però, le uniche tracce rinvenute fino a questo momento sono della vittima e del suo fidanzato Alberto Stasi, già condannato in via definitiva a sedici anni di carcere per il delitto.
Delitto di Garlasco, di cosa si occuperà il dattiloscopista Domenico Marchigiani
Nessun indizio, invece, che collochi al momento Andrea Sempio, unico indagato per concorso in omicidio nella nuova inchiesta, quella mattina nella villetta di via Pascoli. Dunque perché la Procura ha chiesto l’intervento di un dattiloscopista, concesso dalla gip di Pavia Daniela Garlaschelli? Dalle prime verifiche era emersa una probabile traccia papillare sulla confezione di thè freddo.
L’esaltazione delle impronte si estenderà anche ai sacchetti della spazzatura, dei biscotti e dei cereali trovati nella villetta della famiglia Poggi. Ma quale sarà il compito del dattiloscopista Marchigiani? Bisogna prima di tutto tenere presente che le indagini genetiche analizzano il dna, ovvero materiale genetico rilevabile in sangue, saliva, capelli, cellule epiteliali. I rilievi dattiloscopici, invece, si occupano di impronte digitali per identificare una persona.
Le tracce vanno confrontate con quelle presenti in banche dati o con soggetti noti. L’impronta papillare sull’Estathè sarebbe stata lasciata dalle creste papillari dei polpastrelli, ovvero dalle linee della pelle delle dita o dei palmi. Siccome ogni impronta digitale è unica e irripetibile, le tracce papillari sono fondamentali nelle indagini dattiloscopiche.
Marchigiani, insomma, dovrà confrontare le impronte che eventualmente emergeranno con quelle di tutte le persone che avevano avuto accesso alla villetta e con le tracce repertate all’epoca dal Ris di Parma con fogli di acetato. Su quegli stessi fogli, la genetica non ha rilevato presenza di sangue o di materiale biologico. L’esperto si avvarrà delle più recenti tecniche per rilevare impronte latenti (cioè non visibili a occhio nudo), con polveri, reagenti chimici o strumenti a luce forense.
Dattiloscopia e genetica per la verità sull’omicidio di Chiara Poggi
È bene chiarire un altro aspetto: le indagini dattiloscopiche e quelle genetiche sono complementari, l’una non esclude l’altra, anzi. Spesso sulla stessa scena del crimine si usano assieme per rafforzare l’identificazione di un soggetto. Detto questo, l’ultimo aspetto è: perché non è mai stato fatto prima? Nelle indagini effettuate subito dopo l’omicidio, infatti, formalmente non era mai stato coinvolto un perito dattiloscopista su incarico della Procura di Pavia.
L’inchiesta si concentrò allora soprattutto sul profilo di Stasi, sulla genetica, sulle scarpe, sulle bici, sulle testimonianze e sui tracciati informatici. Le eventuali impronte digitali non furono ritenute centrali da inquirenti ed investigatori, anche perché non ne furono trovate di immediatamente riconoscibili. Dunque ci si avvalse perlopiù dei rilievi della Scientifica e si privilegiarono le indagini genetiche.
Un esempio su tutti: la traccia biologica di Stasi trovata sul dispenser del sapone nel bagno, sulla quale poi si è costruita buona parte del processo che ha portato alla condanna del giovane. La riapertura delle indagini a cui si è arrivati oggi, invece, è avvenuta grazie a nuove istanze difensive e ad alcuni elementi trascurati o mai approfonditi. Parliamo appunto delle impronte digitali anche latenti, che rendono necessarie le nuove tecniche d’indagine della dattiloscopia avanzata.
E quindi: qualora venissero trovate tracce papillari riconducibili a terzi, dunque né a Chiara né ad Alberto, si riaprirebbe un fronte investigativo enorme. “Siamo contenti che ci sia questo ulteriore approfondimento. – ha detto l’avvocato Antonio De Rensis, legale di Alberto Stasi – tutto ciò che si può fare in più è meglio di ciò che si può fare in meno. Un’indagine, se ha un accertamento in più, mi rassicura rispetto a un’indagine che fa un accertamento in meno”.