Si è parlato molto negli ultimi giorni dell’operazione cardiochirurgica effettuata su un bambino di sei mesi al Gaslini di Genova. In Inghilterra avevano sottolineato che non c’erano possibilità di riuscita.
Abbiamo intervistato il cardiochirurgo Guido Michielon che ha effettuato la difficile procedura. Ci ha raccontato tutti i passaggi con dovizia di particolari.
Siamo partiti dallo spiegare come si è arrivati a Genova per un bimbo nato con una grave cardiopatia congenita: “La mamma aveva avuto una diagnosi pre-natale presso un ospedale di Londra che parlava di una cardiopatia congenita complessa. Il bambino fondamentalmente aveva una forma di cuore sinistro ipoplasico, una variante. Doveva essere portato al centro che dirigevo io a Londra, il Brompton Hospital. Nel frattempo c’era stata un processo di fusione e acquisizione da parte del Campus Guy’s and St Thomas’ a Londra. Io invece mi stavo trasferendo a Genova, parliamo del periodo tra settembre e dicembre del 2022. Il bambino è nato a inizio dicembre e per questo motivo è stato trasferito al Guy’s and St Thomas’ dove hanno eseguito una procedura palliativa di breve prospettiva. Non lo consideravano operabile perché aveva associato al cuore sinistro ipoplasico un problema alle valvole atrio-ventricolari. Il bambino ha avuto anche un arresto cardiaco in quel periodo ed è stato rianimato per fortuna senza conseguenze neurologiche. Si è iniziato a pensare cosa fare nel periodo successivo. Sotto Natale mi hanno contattato perché alla richiesta specifica dei genitori su un programma terapeutico successivo a questa procedura di breve prospettiva non era stato offerto un progetto”.
Le speranze erano davvero esigue, continua il Professore: “Non volevano fare nessun altro tipo di procedura e i genitori hanno cercato altrove per un’opinione. L’ospedale si è attivato per chiedere una seconda opinione ad altri centri inglesi pediatrici, conosciuti anche nel mondo, ed è stata data una risposta negativa per la chirurgia ricostruttiva. Alla famiglia è stata offerta la possibilità di un trapianto di cuore. Data l’età e il peso del bambino quell’opzione sarebbe rimasta virtuale, non si sarebbero mai potuti trovare donatori compatibili di peso e gruppo. A Birmingham invece hanno dato un’opinione un po’ diversa, pensando all’opzione ricostruttiva senza però prendersi l’impegno delle cure del bimbo, facendo capire tra le righe che se questa doveva essere la scelta se ne sarebbe dovuto occupare il centro di Guy’s and St Thomas’ che però non era propenso alla chirurgia. La zia del bimbo mi ha contattato, pensando che fossi ancora al Brompton. Ero arrivato a Genova, ma avevo mantenuto i numeri inglesi e da lì è nata la collaborazione. Mi hanno mandato la documentazione e ho fatto una proposta chirurgica che secondo me era quella soluzione più appropriata per il futuro del bimbo. C’era però un altro problema, l’Inghilterra non facendo più parte della Comunità Europea non permette la possibilità di utilizzare i modelli S-2 cioè le cure in altri paesi facenti parte dell’UE con costi coperti dal paese di provenienza. L’unica possibilità era quella di fare un preventivo e per la famiglia di sostenere le spese a suo carico. Così è stato fatto con un preventivo e loro si sono convinti intraprendendo questa squadra con grandissimo coraggio. Loro non conoscevano il sistema italiano e dunque è stata una fiducia cieca in questa possibilità”.
Così il Prof. Michielon ha dovuto eseguire la procedura: “Per me è stata una grandissima responsabilità prendermi carico di un caso ad alto rischio. Si combinavano tre interventi chirurgici, avrei dovuto fare il primo stadio di Nordwood e il secondo, insieme, e una plastica della valvola atrioventricolare insufficiente. Hanno preso questa opportunità e hanno deciso di venire qui. L’intervento è stato fatto il 17 luglio e domani andranno a casa”.
Oggi per fortuna il problema è stato risolto anche se ci saranno dei passi successivi da compiere: “Il bambino sta molto bene, abbiamo fatto un angio-tac di controllo e la qualità di ricostruzione è ottima. Sono rimasto sempre in contatto con i medici inglesi e uno di questi è la cardiologa che lo segue. L’ho tenuta aggiornata sul progresso clinico. Ora tornerà in Inghilterra, a Londra, e avrà subito una visita di controllo con la sua cardiologa. Dovrà fare un altro intervento attorno i due anni e mezzo tre di vita e hanno già detto che lo verranno a fare qua. Oggi pesa attorno ai 7 kg e ha 8 mesi, non è piccolissimo ma non è nemmeno cresciuto moltissimo”.
Il cardiochirurgo ci racconta di come si gestisce un’operazione così delicata: “Di interventi di questo tipo ne ho fatti diversi, so come va condotto. Ho studiato tutta la parte anatomica individuale prima, preparandolo bene, cercando di mantenere un programma da mantenere passo passo durante la procedura. Non ci si può permettere di farsi prendere dalle emozioni della situazione, perché la procedura è molto impegnativa, uno dei più impegnativi che si possono fare in cardiochirurgia pediatrica. Era articolato in tanti passaggi e doveva andare tutto bene, mi ero preparato passo passo senza pensare a cosa sarebbe successo in casi estremi, senza farmi troppe domande. Prepararmi in modo meticoloso, seguendo un piano congegnato andare passo passo senza farmi prendere dalla complessità e dall’esito dell’intervento. Abbiamo verificato in sala operatoria. Nonostante la preparazione c’è sempre incertezza su quello che può essere l’esito, la prova dei fatti è quando si riduce il supporto e il cuore deve gestire in maniera autonoma una circolazione completamente cambiata rispetto all’origine. La risposta del cuore in quel momento è sempre qualcosa di individuale. Per fortuna non è stato necessario apportare correttivi rispetto al piano, tutto è riuscito al primo tentativo seguendo i parametri attesi nella migliore delle ipotesi. Penso sia stato ben preparato insieme ai colleghi, agli anestesisti, i tecnici di circolazione extracorporea, i meccanismi che mi hanno supportato durante la procedura. Avevamo discusso bene l’intervento prima di entrare in sala operatoria, con un breafing prima dell’ingresso in sala con tutto il team e abbiamo rivisto tutte le tappe principali. Sapevamo quello che ci sarebbe aspettato per quanto riguardava le rispettive aree di competenza. Abbiamo lavorato bene come squadra e il risultato è stato soddisfacente”.