Silvio Berlusconi, ultimo atto: camera ardente al Quirinale e funerali di Stato

Ha compiuto 85 anni a settembre e a marzo dovrebbe ringraziare il Cielo di essere arrivato a primavera. E invece no. Lui è Silvio, e la primavera, l’ennesima, ha deciso di vederla dalla finestra di un colle romano, il più prestigioso.

Photo by Andrea Pirri/NurPhoto via Getty Images

Sono anni che perde il filo del discorso, quando parla con una voce – un tempo bellissima – che non può sottoporre al lifting, la cambiale che una vanità borghese l’ha indotto a rinnovare, ad nauseam per il suo volto, quel volto che è tracimato negli anni in tutte le declinazioni possibili della fisionomia centroasiatica: è sembrato caucasico, kazako, turkmeno, kirghiso.

Si è trasfigurato, il Silvio che fu, nel segretario di khmer rossi e in un anonimo funzionario d’archivio della Città Proibita. Non fosse stato il potere ed il ruolo a fare da fil rouge ai suoi ultimi trent’anni lo sguardo di Silvio, occhi sempre più sottili e sfuggenti, era destinato ad un anonimato profondo ed orientale: facile confonderlo con quello di milioni d’altri individui, nello sterminato Oriente. Proprio lui, che ha sempre dannato l’anima per distinguersi, forte di una rabbiosa rincorsa iniziata dai profondi lidi della sua altezza. Uno slancio che non vuole saperne di esaurirsi prima di arrivare dove vuole.

Berlusconi, Terminator, Roma – Notizie.com

Quel volto che cambia

Se, di anno in anno, il suo volto è sembrato viaggiare verso Est, il nostro Silvio è rimasto qui, tra noi, nella terra delle sue ambizioni, mai sazio. Non è una persona che puoi sfamare con la ciotola di riso dell’umiltà. Lui, sfidando la salute traballante e il cuore che, tra un ricovero ed un bollettino medico, costringe i suoi progetti al gioco dell’oca, ha deciso. Ha deciso che l’affanno degli ultimi anni non deve essere solo il prezzo da pagare all’ostinata volontà di appartarsi e tentare la sorte con l’ennesima partner,  Marta, 54 anni più giovane.

Silvio Berlusconi e la fidanzata Marta Fascina

No, un po’ di affanno lo vuole dedicare a quelle scale, percorse tante volte per ossequiare vecchi detestabili, vedovi o con mogli anziane che, per Silvio, è peggio che averle accanto morte. Perché il corpo fustigato dal tempo, nel letto, deve essere solo il suo. Invecchiare insieme ad una donna, amarla nonostante non sia più la bella, condiscendente preda di un tempo, è una bestemmia contro la vita e la fantasia. Così pensa Silvio. Ma la bellezza ed i corpi giovani non bastano. Non è sazio di nulla, Silvio, rispettabilità compresa. E non c’è nulla di più rispettabile del Quirinale, la casa del re, al confronto del quale il cavaliere che fu appare poca cosa. Deve strattonare le redini, scivolare giù dalla sella e ritrovarsi piccolo, disgiunto dalle proprie ambizioni, a guardare quelle scale dal basso. Resta poco tempo, ormai. E’ il momento per l’ultimo colpo di mano, ha pensato Silvio.

Lui e la Politica

Silvio Berlusconi – Notizie.com

C’è da detestarlo per questa sua fame, una sfida quasi infantile al buon gusto e al buon senso. Ma per il parvenulombardo fare a meno dello stile è stata una benedizione, così come esiliare il buon senso è stata una regola di vita per lui, che nell’Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam ha il libro preferito. Si detesta questa sua smania ma si rimane ammirati dall’ostinazione irreale, sgradevole e, a suo modo, fiabesca con cui sembra avvicinarsi alla meta. E ci si prepara al peggio: vedere una camera ardente lì sul Colle, con un Silvio mal conservato, come un Papa Pacelli, o in buona forma come un immobile Lenin, per gli ultimi ossequi. Saranno trascorsi più di trent’anni da quando Silvio ebbe a dire che la politica era merda e sangue ma non esitò a berne l’amaro calice fino alla feccia. Non sarà andata così male se è destinato a decomporsi, austeramente ricomposto in orizzontale, circondato da giovani alti, come lui non è stato mai, in alta uniforme sul Colle che si distingue dagli altri, come lui distinguersi ostinatamente volle e riuscì.

Silvio Berlusconi
La strategia di Silvio Berlusconi per il Quirinale © Ansa

Quando decise la via della politica, nel secolo scorso, c’era chi lo sognava ridotto in povertà, a vivere in strada come i fratelli Duke. Altri lo volevano in cella con i capimafia a cui è stato accostato. Se la fortuna gli sarà ancora amica, finirà con qualche ragazzina che attraversa gli austeri corridoi del Quirinale e, qualche ora più tardi, in non meno austeri funerali di Stato, dopo l’ultimo affanno. Prima ci sarà in un referto medico compiacente come si usava al Cremlino, quando si voleva prender tempo per mettere tutto in ordine.

Silvio Berlusconi, ultimo atto

Se è solo un sogno, o un incubo, sarà il volger di poche settimane e svelarcelo. Ma tutto sembra indicare che siamo dinanzi ad un sipario, con l’orchestra che prova gli strumenti ed il ticchettio del direttore, che un tempo avremmo chiamato Destino, a dire che sì, ci siamo. I segni premonitori si rincorrono da settimane, sembrano indizi. E sono più di due.

Inizia dicembre e lui batte il primo colpo: un outing finalmente degno di questo nome, uno dei pochi che può lasciare attoniti, in tempi dove qualsiasi rivelazione sulla vita privata diventa motivo di noia. E invece no, Silvio riesce a stupire con un endorsement al Reddito di Cittadinanza. Una ruffianeria magistrale per farci comprendere che fa sul serio. Un segnale chiaro a quella zattera della Medusa che è il Movimento Cinque Stelle, con il vessillo ridotto ad un cencio. Una compagine rovinata su sé stessa, confusa come gli allettati per malaria, ma numerosa il giusto, in Parlamento, da legittimare l’ossequio di un cavaliere ultraottantenne che vuole farsi re. Qualcuno lo deve far scendere di sella in quel maledetto cortile e portarlo a spalla su per le famose scale, dunque, come i chierichetti portano il Santo in processione. E per questo anche ragazzini vanno bene, pensa Silvio, poco male se mezz’ora prima erano chiusi in bagno a contendersi la pagine appiccicate di una rivista.

Per servire se stesso si fa maggiordomo di chiunque, Silvio, e s’inchina, anche davanti ai ragazzini: per essere sorretto da quella ciurma che fu del capocomico genovese: in un attimo ne diventa il papi e tutto si muove in sincrono, come d’incanto: l’ex premier Conte, un tempo avvocato del popolo, coglie la galanteria di Silvio e ha fatto un cenno di condiscendenza. Tra faccendieri delle proprie ambizioni ci s’intende. L’ex ragazzo che lavorava a giornata sugli spalti del San Paolo, ora ministro, è sembrato incline a cambiare idea su Silvio, senza pudori: anche questo è burlesque, si direbbe, declinato in politica. Si sentono a loro agio, tutti. Si spogliano facile, e non se ne vergognano. Le ragazze, vestite da vittime, elevate a martiri nel tentativo di rovinare Silvio, subito dopo dimenticate, erano più timide.

Gli alleati inattesi

Potevano promettere molto, le ragazze, ma quel molto era pur sempre la solita minestra, glabra o ispida, non il Colle. Per questo torna utile la marmaglia del capocomico che mandava a quel paese il mondo intero, pronta ora a ingoiare merda e sangue di rospo pur di restare lì, in quella cittadella di privilegi a pochi passi dal Pantheon.

L’altro indizio fa pari e patta con il primo e a svelarlo e ancora lui, Silvio, quando si duole per i no vax: devono parlare meno, dice. E non basta che ovunque vengono chiamati e messi a tacere, ridicolizzati dall’ortodossia bambinesca di burocrati obbedienti, felicemente ignari del dubbio. No, non basta. Qui c’è l’inchino di Silvio al pensiero mainstream, ancora per ossequiare sé stesso, perché l’85enne fidanzato di Marta già si vede attraversare il Cortile d’Onore, la Sala delle logge, il Salottino Napoleonico e, tenendo per mano l’ennesima, giovane amica, il Corridoio dei busti per immaginare il proprio. Farebbe al caso suo, perché i busti non rammentano la statura: se ne stanno lì, paghi di essere giunti per qualche tempo ad osservare, fissi, il nulla, come fosse l’Eternità, prima che arrivi il trasloco, il buio di un deposito e il sigillo di un inventario. Così Silvio con la vita: vuole uno sguardo dal punto più alto per confonderlo con la vita stessa, come quei busti, prima del buio.

Silvio Berlusconi con il cane a Natale – Notizie.com

Silvio sembra poco incline a fare la lepre a favore di qualcuno. Un messaggio a Natale con un irrequieto cane di piccola taglia tra le braccia e un albero alle spalle ci ha recapitato la sensazione di qualcosa di provvisorio, nella sua vita. C’è aria di smobilitazione, con lui che vuole fare in tempo ad accasarsi altrove. Sembra immaginare se stesso, il prossimo anno, con un più austero messaggio da un altro palazzo, e un volto che finirà per sembrare uzbeko, forse.

La morale della storia

Si fa fatica a trovare una morale in questa storia. Forse c’è ma non è dolce: potrebbe essere quella del parevnu odiato, immagine perfetta di un uomo irriso dalle inchieste, con gli inquisitori che sognavano di vederlo morire in carcere, o in esilio come un amico di antica data. Ed invece sarà stato lui a scegliere dove morire. E avrà scelto, da uomo libero, il colle più alto, dove le stanze, per numero, superano dieci volte la sua età. E qui il dispetto di vederlo ascendere verso l’ultimo cielo collide con il piacere della rivincita sulla cattiveria patologica e la piccineria dei suoi persecutori, vissuti per trent’anni tra scartoffie e indiscrezioni lasciate fuggire per denigrarlo quanto possibile. Sembrano ora volare via, lontani nel tempo, quei giornalacci compiacenti che hanno maramaldeggiato, inzuppato il pane su chiacchere campate per aria e malefatte reali di un parevenu con i piedi ben piantati per terra. Vederlo compiere quei passi e sapere che era lì, a Palazzo Chigi, è stato un colpo al cuore per molti cuori fradici. Ma l’ascesa era inarrestabile e non restava che  la rabbia e l’invidia, quella che dovette provare il Politburo quando videro un ragazzo dell’Ohio lasciare la propria impronta sulla sabbia, il 20 luglio del 69. Se sei lontano dalla tua meta d’odio come la Terra dalla Luna puoi solo ribollire, cercando un’alchimia di livore da barattare con la vita.

Il Politburo delle Procure per trent’anni l’ha braccato con la stessa abnegazione con cui Simon Wiesenthal cercava ombre di gerarchi nazisti in Sud America. Un odio palesato come fosse un’onorificenza, la prova provata di essere dalla parte giusta della Storia, il lasciapassare degli eletti. A tenere il gioco di questa Santa Inquisizione nascosta in un preteso Stato di Diritto l’ignavia di un Paese che ama perdersi dietro il gioco dei buoni e dei cattivi, incurante di una Giustizia impresentabile, dove i tempi di quella civile sono un fine pena mai e i modi di quella penale tratteggiano la rivincita del Neanderthal sul Sapiens, 40.000 anni dopo. Ma bisognava sbarazzarsi di Silvio, ogni altra cosa sarebbe andata a suo posto, per incanto: primum vivere deinde philosophare sembravano dire le Procure. E per vivere bisognava vederlo morire, d’inedia possibilmente. Colpe vere o immaginarie non ha fatto alcuna differenza. Il piacere era colpirlo, a dispetto del ruolo istituzionale che egli aveva la fortuna di rappresentare in quel momento. E con maggior piacere lo si colpiva, allora, come a dire: guardate quanto è inadeguato. E’ un piccolo parvenu arricchito e noi gli stracciamo gli abiti di dosso, ecco, dinanzi al mondo.

I giacobini

Così pensavano i giacobini. E immaginavano di segnare sul calendario il giorno in cui sarebbero riusciti a farlo sparire, per sempre. Molti avranno pensato di celebrarla, quella morte, con un giorno di festa, sempre congiunta alla parola “civile” l’alibi precostituito per gli assassini rispettabili, quelli che dopo aver ucciso vogliono insegnarti come devi pensare, sotto la luce livida della loro morale. Quella morale voleva il corpo di Silvio ben steso su uno squallido obitorio, pronto per essere rimosso e dimenticato: la damnatio memoriae, la seconda morte con cui le Procure sognavano di suggellare il loro capolavoro, il secondo, dopo aver ferito a morte, fatto scempio e mandato al macerato un’intera classe politica e industriale, quella della Prima Repubblica, per sostituirla con un baratro. L’ Italia cresciuta nel secondo Dopoguerra doveva sparire, intera, come una nave riversa sul fianco, e trasformarsi in un passato che potevi solo salutare con fazzoletti cremisi da scialuppe – o dalla spiaggia, se più fortunati. Cosi doveva essere e fu. Imprenditori, finanzieri, capitani d’industria, vedevano la loro ascesa additata come una storia criminale, invariabilmente, e condannati ante litteram da burocrati della Legge, macerati da un’isterica visione del mondo, per il solo motivo di esistere. E soprattutto esisteva Silvio, questo era il problema, dicevano le Procure, senza il minino dubbio sul da farsi.

Silvio umiliato dinanzi al mondo

Silvio Berlusconi – Notizie.com

Si era compreso tutto, fin dal principio, con quell’ avviso a comparire recapitatogli a Napoli, da Presidente del Coniglio, nel bel mezzo di un vertice ONU sulla criminalità. Un magistrato l’aveva preannunciato, con il compiacimento infantile di chi schizza acqua torbida da una pozzanghera, ai giornalisti del Corriere della Sera paghi di ossequiare quel Robespierre immondo, che si faceva immortalare nei corridoi della Procura con lo stesso appeal d’infimo narcisismo con cui era solito comparire alle Prime della Scala. E se doveva concedere al suo corpo il sollievo di una latrina, raccontano, sceglieva il bagno più lontano dal proprio ufficio, così che i giornalisti lo potessero vedere, pronti a gratificarlo con quale accenno di domanda. La deferenza nella calca ottusa di quei giorni: di questo vivevano gli uomini che amavano braccare gli uomini. E poco male se tra questi ultimi c’era chi decideva di farla finita, tra quattro mura. Per capire non c’era bisogno di pensar male. Bastava vedere il male che si fingeva bene, strisciando sui codici per nutrire un istinto predatorio, in nome della Legge.

L’intento non era la Giustizia. Non lo è mai stata, per loro, che da decadi millantano superiorità morale, sfacciatamente, con la credibilità con cui William Burke & William Hare si accrediterebbe autori dell’Enciclopedia Britannica. E da decadi ci sono i fiancheggiatori, sempre bene attenti, nelle redazioni mainstream: la loro gioia è la politica del volantinaggio camuffata da giornalismo: costruire tesi, come fili di ragno, e attendere. Per gli uni e gli altri è stato un gioco di opportunità e di pazienza. Ed il plateau di tanta attesa è stato sputtanare Silvio dinanzi al mondo.

Umiliare lui e con lui l’Italia: tanto peggio tanto meglio, pensava la gentaglia che si credeva giusta, e migliore di lui. E ripensando a Napoli, a quello sputtanamento davanti al mondo, nell’osservare l’incipit con cui si sono aperte le danze nel corridoio di cristallo di una psicopatologia dei traumi, non ci si stupisce se Silvio, in quel momento un bambino della Politica, per i successivi trent’anni sia andato letteralmente a puttane. Ma lui preferendo, da uomo pratico qual è, i corpi alla metafora.

Silvio, 30 anni dopo

E non ci si stupisce se, perduta fin da subito la faccia così, dinanzi al mondo, la parte più fragile e nascosta di Silvio abbia tentato nei successivi trent’anni di nasconderla, trasfigurandola da un lifting ad un altro, come desiderasse non essere riconosciuto da nessuno, anche se stesso, benché il narcisismo primigènio lo inducesse ad ostentare l’altra, la faccia di bronzo che era stata l’imprimatur della sua ascesa. Un conflitto che ha punto di svolta e nodo gordiano nell’ultima meta, il Colle, dopo esser passato da un giovane monte di Venere a un altro, come un gioviale scolaretto che ha capito – miliardi a parte – l’essenziale della vita, da subito, e ha ripetuto il gioco, ad libitum, curandosi che le compagne avessero l’età di lui quando per la prima volta capì.

Silvio Berlusconi – Notizie.com

Sono state forse queste oasi, il conforto di décolleté, voci giovani e giovani accondiscendenze, a faro resistere, a dispetto del fango. E usando loro, più ingenerosamente di quanto non le abbia usate lui, è stato tentato l’ultimo assalto alla sua credibilità, dopo quel gentile pensiero, a Napoli. E sono trascorsi 30 anni. Ecco, la morale forse c’è, si mostra su scenari improvvisi e beffarda e irride la gentaglia che ha voluto umiliarlo, incurante di umiliare un Paese, con lui. E allora questa morale non dispiace.

Forse una di queste mattine Silvio si sveglierà in una stanza al numero 1 di Vicolo della Rosa, nella residenza chiamata Palazzo della fuga, proprio lì, sul Quirinale. Si sveglierà con lo stesso stupore che avrebbe pervaso Luigi XVI se in quella mattina di gennaio si fosse risvegliato nel suo letto, a Versailles, dopo aver attraversato con la propria testa l’esile e feroce silhouette della ghigliottina. E poco male, allora, se si ritrovasse come gentiluomo di camera un novantenne dal viso come gelatina, perché nei lifting tentò di imitare il padrone, e una parvenza di capelli grigi tenuti con un soffio asfittico di lacca: anche in paradiso squittisce qualche ratto, se in un eccesso di compiacenza ci si lascia andare ad un estremo perdono.

Silvio e i nemici di un tempo

Questa piccola incrinatura, nella tarda felicità di Silvio, sarà compensata al pensiero del limbo su cui ora si muovono, sfumati fino all’impalpabile, i personaggi di un tempo: un Eugenio Scalfari che morirà con verosimiglianza prima di lui, un’esistenza ormai scandita solo dall’oscena noia dei suoi editoriali su Repubblica – sempre più radi, vuole la fortuna, come i giorni che vacillanti ancora gli si presentano dinanzi. E chissà se almeno in punto di morte qualcuno avrà rettitudine e ardire per dirgli che non seppe mai scrivere. Insieme a lui un Carlo De Benedetti, sprofondato nella propria lenta pinguetùdine, trattato come indesiderato clochard dai suoi stessi figli, che da mesi minaccia di restituire il passaporto nel caso Silvio dovesse ascendere al Sacro soglio. E ormai così poco acuto, l’aptenodytes patagonicus, da non accorgersi che anche le barcollanti colonie dei simili, se parlassero, gli direbbero di rimando “ce ne faremo una ragione“. Ma lui, inetto al volo come il resto della ciurma, possiede rispetto ai simili la singolare facoltà di parlare, e dunque meno ragionevolezza. Si macera e medita sui passaporti, ma ancora per poco.

Silvio Berlusconi e Nicolas Sárközy – Notizie.com

C’è infine quel che resta della Compagnia del sorriso: quell’Angela Merkel e quel Nicolas Sárközy che si scambiarono uno sguardo canzonatorio nei confronti di Silvio, ancora una volta dinanzi al mondo. Lei, “culona inchiavabile” – così la definì Silvio rivelando i bisbigli pettegoli di Capi di Stato che, per un istante, paventarono di risolvere annose questioni internazionali in camere d’albergo – e con lei il francese, 166 centimetri, rivale in altezza, domiciliari e libertà vigilata: l’uomo che decretò la fine indegna di Mu’ammar Gheddafi macellato come un animale, sotto l’ombra della gloriosa Francia, patria dei Lumi. Entrambi ora sono ai giardinetti – per Nicolas solo quelli di casa – e, 11 anni dopo, non sorridono più: 67 anni lei e 66 lui, un’età che per Silvio corrisponde alla pre adolescenza.

Silvio Berlusconi a ‘Porta A Porta’ (Photo by Franco Origlia/Getty Images

L’ultima resistenza

Sì, se Silvio riuscirà a salire quella scale e portare, nelle stanze che furono di De Nicola ed Einaudi, i suoi ultimi giorni lo attendono 7 anni di fango. Forse molti meno, se il Cielo ha pietà, perché se anche ti risvegli ogni mattino al Palazzo della fuga non puoi sfuggire per molto all’ultimo rintocco, quando le torte di compleanno sono ormai un incendio. E intanto il pubblico sdegno ha timbrato il cartellino con largo anticipo sul calendario, appena la faccenda è sembrata seria. Sono sempre loro ad agitarsi, i fiancheggiatori vedovi delle Procure, perché queste hanno perso il piglio smargiasso di un tempo: anche gli inquisitori invecchiano e muoiono. La resistenza “civile” delle redazioni no, intende ancora tenere il punto e si asserra, dietro editoriali e petizioni, come l’ultima difesa a Stalingrado. E come in terra sovietica ci sono i cecchini che tentano, tentano ogni giorno, sperando nei franchi tiratori in Parlamento, l’estrema difesa contro il disastro. E lo stesso giornalismo, per intenderci, che nel pieno di una pandemia con 6 milioni di morti non sembra chiedersi l’origine, dimentica domande e inchieste, attardandosi a difendere un gaffeur impresentabile come Biden, sempre e comunque. Ma se la responsabilità dei contagi fosse lontanamente attribuibile ad un laboratorio americano sotto l’amministrazione Trump questa candida, libera stampa avrebbe “civilmente” incendiato le piazze e chiesto la testa del colpevole. Ma tutto nasce, senza ombra di dubbio, in Cina. Ed ecco che, come d’incanto, 6 milioni di morti non sono abbastanza per cercare la verità.

Silvio, se il sogno diventa realtà

Silvio Berlusconi (Photo by Antonio Masiello/Getty Images

Il Quirinale, dunque. Forse alla prova impietosa dei fatti l’ultimo sogno di Silvio sarà destinato a rimanere tale. Ma, se accadesse, i funerali di Stato e la camera ardente sul Colle saranno il giusto conio per gli imprenditori morti di carcere, per un ex premier scomparso in Tunisia come un volgare criminale in fuga, nonostante fosse tutto tranne che un ex ufficiale della Wehrmacht o della Gestapo. Una vergogna, anche questa, che il volto finalmente autentico di Silvio, libero dalle sue maschere, disteso nel punto più alto della Repubblica forse non sarà sufficiente a lavare ma, con un sorriso beffardo, lo stesso di chi decise quell’avviso a comparire di Napoli, 30 anni fa, almeno riuscirà ad irridere. Un sorriso senza parole dedicato a quei giacobini, nudi e beffati dalla Storia, che la Storia avrebbero voluto scrivere – mentre il Destino, come sempre, faceva di testa propria.

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