Bruxelles ha deciso di tollerare il Natale, per ora

All’inizio pensi non sia vero, perché a dare per primo la notizia è un giornale conservatore e da Bruxelles, dove cerchi conferme, ti dicono che quelle pagine vanno sempre lette con sano scetticismo “è vero il dieci per cento di quello che pubblicano”.

Sarà, ma passano le ore e non arriva nessuna smentita, nessun debunker o fact checker spreca una goccia del proprio sapientissimo inchiostro per dire che no, non è vero. Passano poche ore e l’indiscrezione a cui non si doveva prestare fede diventa verità, una verità stravagante se non fosse fredda come il mese che l’ha resa ufficiale: il regolamento interno per i funzionari della Commissione Europea di Bruxelles dal titolo già sibillino Union Of Equality. European Commission Guidelines for Inclusive Communication che squadernava d’impeto un abecedario per piccoli mostri insipienti. Bambini mal cresciuti, saccenti che credono di essere lo zenit di chissà quale parabola del pensiero. Un pensiero, zoppo, ruminato e mal metabolizzato nell’individualismo più cupo, dove snobismo e sciatteria sono una cosa sola, una regina dell’Ancient Regime che disdegna il mondo senza accorgersi che i costosi profumi del proprio censo non possono coprire all’infinito l’assenza di un buon bagno caldo, quello del buon senso: così è Bruxelles e così è la sua burocrazia, talvolta. Spesso sono così quando pensano, stilano codici e valori e così facendo bruciano libri, culture e idiomi con la disinvoltura con cui un fumatore d’oppio si apparta e tira la tenda sul proprio vizio. Da parte nostra ci sarebbe da stendere il velo di pietà dinanzi ad un’insistenza che sa di patologia nascosta in protocolli e nel linguaggio morbido, come una nuvola d’oppio, del politicamente corretto. Così è Bruxelles. Forse il problema è l’ozio, forse l’origine di tutto questo è una zia cattiva della loro infanzia e l’insieme di valori che si portava dietro. Non lo sapremo mai. Ma  l’esito è questo, un protocollo di buone maniere che sembra uscire da un incubo, scuro come il ventre della balena che inghiottì il profeta: le buone maniere sono ormai note, lette con incredulità, compiacenza e ammirazione a seconda dei casi, o della condizione clinica dei fruitori. Non usare parole come operai o poliziotti, non usare il pronome maschile come pronome predefinito, non dire Miss o Mrs e non scriverlo se non prima di aver ottenuto l’assenso della complessa, intellegibile creatura a cui ci rivolgiamo. Alcuni passaggi del documento fanno tenerezza, tanto è il candore con cui la maestrina in terra belga bisbiglia alla classe dei piccoli mostri  “Fai attenzione a non menzionare sempre prima lo stesso sesso nell’ordine delle parole, o a rivolgerti a uomini e donne in modo diverso…” e continua gorgogliando concetti che gli allievi, chini come rematori su una galea, devono far propri mentre procedono nella direzione che Bruxelles, la maestrina, la Montessori dei freaks, vuole per loro.

Ci sono raccomandazioni, consigli che sembrano quelli di una nonna che ha preso the e mescalina – “Non usare nomi e pronomi legati al genere del soggetto” – regole di comportamento e altri balocchi nefasti che i bimbi devono accogliere per festeggiare la ricorrenza che dovrà sostituire quella di dicembre, la festività che è meglio non pronunciare. Sì, perché la lezione prevede che sul tavolo anatomico venga dissezionata anche la parola Natale – “non parlate di vacanze natalizie” . I nomi di Maria e Giovanni  sono da evitare, come fossero la peste. Già, la peste verrebbe da dire, e non a caso. Siamo in tempo di pandemia, e  compaiono i folli e i medici che sembrano corvi.

E compaiono anche coloro che sono tra questi e quelli, né caldi né freddi verrebbe da dire, e pretendono di curarti, di guarire il mondo da quanto loro appare male, con le parole: e sarebbe una buona cosa se la cura non consistesse nella messa al bando di alcune di esse, nel capovolgimento semantico, nella censura e nell’oblio: un rogo, appunto.

Il linguaggio si trasforma così da luogo dell’incontro in terra di conflitto, da viaggio nel passato – perché ogni parola è un albero, e le sue incrinature  – a scialba sala sotterranea nascosta sotto le ghette di un qualche regime dannato, pulita con l’acqua che non pulisce dopo che si è compiuta la mattanza. Così sono a Bruxelles, talvolta. Così tutelano le minoranze, con pensieri e parole desolanti. Le minoranze sono quelle che vedono e creano loro, di volta in volta, e ogni volta la maestrina tenta di cambiare il mondo, a cominciare dalle parole, forse perché in cuor suo sa che da una parola il mondo, questo mondo, è stato creato. Ma la tutela delle minoranze, l’inclusività intesa come tic snobistico che si diletta ad accendere incendi, finisce per crescere mostri. E qualche volta ce ne accorgiamo, per fortuna. Così passano le ore e Bruxelles chiude il quaderno e fa dietro front le linee guida “inclusive” vengono ritirate: ai piccoli apprendisti viene concessa la ricreazione – o l’ora d’aria, chiamatela come volete, perché la galea dove remavano era già una galera, o mancava poco. Siamo stati male interpretati, dobbiamo ancora lavorarci, dice Bruxelles, eccetera eccetera direbbe il poeta. Ma non bisogna essere stati nel ventre cupo di una balena per sapere che torneranno. Non si fermeranno davanti a nulla perché il nulla, il pavimento dello scempio lavato alla buona, è il loro cibo, da molto tempo ormai. Sì, mala tempora currunt.

Documento Commissione di inclusione – notizie.com
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