Un pregiudizio interpretativo: le minuzie dell’ormai famosa impronta 33 non sarebbero altro che interferenze murarie. Dunque non ci sarebbe alcuna traccia riconducibile ad Andrea Sempio.
Stanno lavorando in queste ore sotto una pressione tremenda i pm della Procura della Repubblica di Pavia che hanno riaperto le indagini sul delitto di Garlasco. Nel nuovo fascicolo hanno iscritto proprio il nome di Sempio, amico del fratello della vittima, Chiara Poggi, uccisa nella sua villetta di via Pascoli il 13 agosto 2007.
Oggi si è tenuta una nuova udienza dell’incidente probatorio che l’accusa ha chiesto ed ottenuto dalla gip Daniela Garlaschelli. Ma l’appuntamento tra pm, avvocati, consulenti e periti per analizzare impronte, tracce e reperti rinvenuti diciotto anni fa sul luogo del delitto si è trasformato in una specie di resa dei conti. I motivi sono stati sostanzialmente due, e hanno riguardano entrambi comunicazioni e notizie diffuse dai media.
In primis, è deflagrata la polemica sull’impronta 33, cui abbiamo accennato sopra. Non molto tempo fa in una nota la Procura di Pavia aveva fatto sapere che la traccia palmare, repertata su un muro nelle vicinanze del luogo esatto dove venne trovato il corpo della 26enne, era riconducibile a Sempio. Si trattava delle risultanze di consulenze ordinate dai pm. A smentire la ricostruzione della Procura è stata in queste ore una nuova consulenza effettuata da Luciano Garofano, ex comandante del Ris, e Luigi Bisogno, ex ispettore superiore della polizia, esperti nominati dalla difesa.
Delitto di Garlasco, l’impronta 33 è una texture del muro?
Secondo questi ultimi le minuzie, ovvero i punti caratteristici di un’impronta, non sarebbero riscontrabili. E “non appartengono ad Andrea Sempio perché vi è stato un errore di orientamento dell’impronta“. E ancora: “Alcune di queste impronte, forse a causa di un software automatico, vengono dalla texture del muro”. “Io non attacco nessuno, come consulente critico il lavoro dei consulenti della Procura“, ha sottolineato Garofano. Per l’esperto, insomma, si tratterebbe di segni del muro, e non di “strutture papillari reali“.
Sull’impronta 33 sarà poi depositata un’altra consulenza, stavolta da parte della difesa di Alberto Stasi, già condannato in via definitiva per l’omicidio della fidanzata Chiara. “Mi sento solo di ricordare la caratura professionale dei consulenti della Procura”, ha commentato l’avvocata di Alberto Stasi, Giada Bocellari.
Altro elemento sul quale è andato in scena lo scontro tra Procura e avvocati, stavolta della famiglia Poggi, ha riguardato le tracce rilevate su uno dei reperti della spazzatura. In particolare la cannuccia dell’Estathè. Su quest’ultima sarebbe presente il dna di Stasi che, secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, dimostrerebbero che i due fidanzati avevano fatto colazione assieme la mattina dell’omicidio. La questione, però, è che i risultati delle analisi sarebbero trapelati prima che venissero comunicati alle parti coinvolte.
“Ci auguriamo che ci sia più correttezza – ha fatto sapere Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia Poggi – e che non si verifichino situazioni incresciose come quella dell’Estathè. Se il dato che è stato rappresentato, per altro tramite i media, cioè che Stasi aveva bevuto quell’Estathè, è vero, andava innanzitutto detto ai periti perché non siamo qua a farci prendere in giro. Dopodiché trarremo le nostre conclusioni”.
La richiesta di Nordio ai pm del caso Garlasco
La pressione nei confronti dei procuratori coordinati da Fabio Napoleone è stata ulteriormente accentuata da una richiesta del Ministro della Giustizia Carlo Nordio. Quest’ultimo chiedeva se fosse stato violato il segreto investigativo. E se non ci fossero gli estremi per un procedimento disciplinare. Napoleone ha ribattuto a Nordio che tutto ciò che sta circolando è “materiale non segreto” perché “conosciuto dalle parti e dai loro difensori. I quali quotidianamente compaiono nei vari talk show televisivi o in interviste sui quotidiani“.
Tra le attività in programma quest’oggi in Questura a Milano nell’ambito dell’incidente probatorio c’erano inoltre le campionature, per le successive analisi genetiche, su tre tamponi di Chiara. Tra di essi uno mai analizzato. Vi erano poi altre campionature su due o tre tracce ematiche (tra le oltre cento repertate) che non avevano fornito risultati all’epoca.
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All’esame dei consulenti anche tre tracce su un frammento del tappetino del bagno macchiato dal sangue. Una di queste macchie era dna della 26enne, mentre un’altra non aveva dato esiti. I risultati, dopo questa altra serie di campionature, dovrebbero essere disponibili la prossima settimana. Analisi, inoltre, saranno effettuate pure sul frammento di pelo o capello trovato nella spazzatura. Nessun accertamento, invece, è previsto su un cucchiaino, che fu già esaminato e su cui c’era il profilo di Chiara.