Il primo ministro francese Francois Bayrou ha accusato l’Italia di dumping fiscale: di cosa si tratta e perché Roma ha rispedito al mittente le critiche.
Se una multinazionale americana come Google o Apple aprisse una sua sede europea in Italia, dovrebbe pagare al nostro Paese un’aliquota intorno al 27%. Aprendola in Irlanda (com’è in effetti avvenuto) le aziende possono beneficiare di un regime fiscale favorevole, pari a circa il 12%.
In buona sostanza, il dumping fiscale, che la Francia ha accusato Roma di praticare nelle scorse ore, è questo. Ovvero, uno Stato che abbassa le tasse per attirare imprese, investimenti, capitali o sedi legali sul proprio territorio. Il tutto, però, a scapito della concorrenza leale e delle entrate degli altri Paesi. Ma se l’Italia non fa dumping e non è propriamente un paradiso fiscale, perché Parigi ha alzato i toni?
“L’Italia sta facendo una politica di dumping fiscale. – ha dichiarato il primo ministro francese Francois Bayrou – In Francia abbiamo permesso che il debito si accumulasse e che il denaro destinato ad attori economici stranieri non irrigherà il Paese. Ormai c’è una specie di nomadismo fiscale e ci si trasferisce dove conviene di più“.
Dumping fiscale, Palazzo Chigi: “Affermazioni infondate che stupiscono”
Alle accuse di Bayrou, impegnato in queste ore a ricomporre nuovamente la sua maggioranza verso un complicato voto di fiducia in Parlamento l’8 settembre, Palazzo Chigi ha risposto duramente. “Stupiscono le affermazioni, totalmente infondate, del primo ministro francese. – si legge in una nota del governo di Giorgia Meloni – L’economia italiana è attrattiva e va meglio di altre grazie alla stabilità e credibilità della nostra nazione”.
Roma, insomma, non applicherebbe “politiche di immotivato favore fiscale per attrarre aziende europee. E, con questo Governo, ha addirittura raddoppiato l’onere fiscale forfettario in vigore dal 2016 a carico delle persone fisiche che trasferiscono la residenza in Italia. L’Italia è piuttosto, da molti anni, penalizzata dai cosiddetti paradisi fiscali europei”. Che sono Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Malta, Cipro.
L’Italia ha una tra le pressioni fiscali più alte d’Europa, soprattutto per imprese e lavoro dipendente. Ed è penalizzata dal fatto che le multinazionali, pur stabilendo la propria sede legale in Paesi che fanno dumping, operano tranquillamente sul mercato italiano. Per limitare questo fenomeno l’Unione europea sta studiando una serie di contromosse, tra cui la cosiddetta global minimum tax. Ma a cosa si riferiva allora Bayrou?
L’Italia negli ultimi anni ha fatto grande ricorso a Zone economiche speciali (le Zes), a incentivi mirati e al regime dei neo-residenti, introdotto nel 2017. Le Zes, attive specialmente nel sud Italia sono in effetti nate per attrarre investimenti. Ma il loro scopo principale è quello di compensare il divario economico tra nord e sud del Paese, piuttosto che fare concorrenza sleale in Europa. Le Zes non toccano le percentuali fiscali, bensì ne abbassano la pressione attraverso strumenti come il credito d’imposta, le agevolazioni doganali, lo snellimento delle procedure amministrative.
Nel mirino dei francesi potrebbe poi essere finito il regime dei neo-residenti, introdotto dall’articolo 24-bis del Tuir, il Testo unico delle imposte sui redditi, nel 2017. In questo caso la norma permette a chi trasferisce la propria residenza fiscale nel nostro Paese di pagare, per quindici anni, una tassa sostitutiva fissa di centomila euro all’anno per tutti i redditi prodotti all’estero. I redditi prodotti in Italia vengono invece tassati normalmente.