Sfruttamento sessuale di adulti. Questo il motivo per il quale Meta ha rimosso il gruppo Facebook “Mia Moglie” che contava oltre 31mila iscritti.
I fatti sono ormai noti: sul gruppo pubblico, quindi visibile a tutti senza bisogno di iscrizione, venivano postate foto di donne nei momenti di vita più intimi e privati.
Mentre dormono; mentre prendono il sole; mentre si cambiano d’abito o, addirittura, sono al bagno. Seni, gambe, natiche: tutto in bella vista e dato in pasto alla depravazione social degli iscritti al gruppo. A postare le foto erano mariti e compagni delle ignare donne. Sì, perché (ed è questa l’ipotesi di reato su cui sta lavorando la polizia postale) la stragrande maggioranza delle donne ritratte era ignara di queste condivisioni pubbliche.
Ben lungi, quindi, dall’essere una pratica consensuale. È così che un gruppo Facebook diventa specchio di una parte di società marcia dove il corpo della donna viene “oggettificato” e esposto come fosse un pezzo di carne da bancone. Gli iscritti, quasi tutti uomini, hanno cominciato a postare sul gruppo a partire dal 2019: questo significa che questa pratica si è diffusa praticamente indisturbata nell’arco di sei anni.
Imprenditori, professionisti, medici: chi sono gli iscritti a “Mia Moglie”
Gente con seri disturbi relazionali, si dirà. Forse posta ai margini del vivere comune e civile. Eppure, basta consultare l’elenco degli iscritti (oggi non più disponibile perché il gruppo, come dicevamo, è stato chiuso da Meta) per rendersi conto di come fra di loro vi siano imprenditori, professionisti, funzionari pubblici, amministratori, medici. Insomma: la cosiddetta “gente insospettabile” che, in uno spazio non meno reale di quello in cui viviamo la vita di tutti i giorni, si divertiva (sarebbe meglio dire “si diverte”, a breve vedremo perché) a mettere in vetrina la vita privata di mogli e compagne.
Ma come si è potuti giungere a un punto simile? Dove la propria vita privata viene esposta al pubblico ludibrio proprio da chi dovrebbe in qualche modo preservarla? Alle spalle c’è un retroterra fatto di “cultura e sopraffazione che ignora il consenso delle donne.” A intervenire, in proposito, è il gruppo Pd nella Commissione femminicidio del Parlamento. Le deputate Antonella Forattini e Valentina Ghio, le senatrici Cecilia D’Elia e Valeria Valente e il senatore Filippo Sensi parlano di “violenza digitale strutturale.” Un’idea di mascolinità tossica, così come definita da Fiorella Zabatta, portavoce di Europa Verde, contro cui “dobbiamo muoverci tutti quanti: società civile e politica.”
Le indagini della polizia postale
Zabatta annuncia poi di aver sporto denuncia alla procura della Repubblica. A indagare sul caso, come sottolineato, è la polizia postale. “A presentare denuncia sono anche alcune donne che si sono riconosciute”, spiega Barbara Strappato, vicedirettrice della polizia postale di Roma. Ciò che è peggio è che, continua la vicedirettrice, molte altre sono ancora del tutto ignare di essere finite in questo tritacarne social. Ma quali sono i reati contestati? “Si va dalla diffamazione alla diffusione di materiale intimo senza consenso.” Strappato afferma poi che “abbiamo ricevuto, in poche ore, più di mille segnalazioni. Quello che è accaduto è molto grave, è stato difficile anche per me leggere tutti quei commenti.”
Quello che maggiormente impressiona è, infatti, la disinvoltura attraverso cui questi uomini mettevano praticamente in vendita il corpo delle loro mogli. Un retroterra di incultura che va ben oltre le denunce. Il problema, infatti, è ben lungi dall’essere sradicato. Dicevamo, prima, che queste persone ancora “si divertono” a condividere tali immagini. Sì: perché, dopo la chiusura del gruppo da parte di Meta, gli amministratori hanno provveduto a condividere su Telegram i link ai nuovi gruppi creati. In una spirale di depravazione molto più veloce di qualunque denuncia e di qualunque provvedimento che Meta possa prendere (in tal caso, come abbiamo visto, piuttosto tardivo).
Cultura del patriarcato? I precedenti a “Mia Moglie” e il caso Unsee
“Nemmeno i social sono un posto sicuro per le donne”. A parlare è Mariangela Zanni, del Centro Progetti Donna. “Su Facebook si viene bannati per direttissima se si pronunciano certe parole. Appena si crea ingaggio, però, tutto passa in cavalleria senza che nessuno alzi un dito.” D’altra parte, è bene essere chiari: il gruppo “Mia Moglie” non è certo un caso isolato. Anzi: possiamo a buon diritto parlare di punta d’iceberg di un fenomeno che si allarga sempre più. Basti pensare, ad esempio, ad Unsee: un sito dove sono state caricate immagini esplicite con lo scopo di danneggiare le vittime. Il sito carica le immagini di modo che possano essere visualizzate una volta sola; oppure si possono creare delle stanze, dove gli utenti possono commentare, scaricare e condividere ulteriori foto.
Il dettaglio a dir poco inquietante è che il proprietario della piattaforma guadagna (alias: monetizza) tramite la diffusione di queste immagini, spesso postate senza il consenso dell’interessata. Per non parlare di quei forum dove si parla di canali dove pubblicare foto di donne del tutto inconsapevoli. Una forma di revenge porn che, ricordiamolo, in Italia è reato dal 2019 (ironia della sorte, se così si può definire, lo stesso anno in cui è comparso su Facebook il gruppo “Mia Moglie.” La norma, introdotta dall’articolo 612-ter del codice penale, prevede la reclusione da 1 a 6 anni e una multa che può andare dai 5mila ai 15mila euro. Rischi che, trincerati dietro un anonimato di superficie, evidentemente non hanno impensierito più di tanto gli utilizzatori del gruppo.
La testimonianza di una vittima: “Mi sento spezzata in due”
Il quale, prima che fosse chiuso, è stato preso d’assalto da coloro che hanno provato repulsione per un simile utilizzo di materiale intimo. Centinaia di commenti indignati di utenti che avvisano i responsabili del gruppo di aver segnalato alla polizia postale e di aver provveduto a contattare le donne messe in questo modo su pubblica piazza. Va infatti ulteriormente precisato che le foto di donne consapevoli (che pure sono presenti) sono una nettissima minoranza. Per il resto tutti scatti rubati, a volte addirittura di donne che si trovavano a passare di lì per caso. E che quindi non avevano alcun legame o rapporto con coloro che le avrebbero poi messe alla berlina.
Infine, per dare la misura di quanto infime possano essere risultate tali azioni, una delle vittime ha postato un messaggio sulla pagina Facebook “Alpha Mom”. Community dedicata alle mamme. La donna non usa giri di parole: “Oggi ho scoperto di essere nel gruppo Mia Moglie senza saperne assolutamente nulla. Lui si è giustificato dicendo che fosse soltanto un gioco. Abbiamo due figli e dieci anni di matrimonio alle spalle.” La conclusione restituisce tutto ciò che questa donna è stata costretta a vivere nello spazio di pochi minuti dopo aver scoperto i fatti: “Mi sento spezzata in due.”