Caso Argentino, dall’autopsia la conferma del suicidio. La criminologa: “Non è un martire, e la sua morte non è giustizia”

Non si placano le polemiche sul caso di Stefano Argentino, reo confesso del femminicidio di Sara Campanella, che si è tolto la vita in carcere. Il parere dell’esperta sul ruolo dello Stato.

L’autopsia ha confermato che Stefano Argentino di 27 anni, detenuto per l’omicidio di Sara Campanella, si è tolto la vita nel carcere di Gazzi a Messina impiccandosi con un lenzuolo nel bagno della sua cella.

Stefano Argentino, killer di Sara Campanella
Caso Argentino, dall’autopsia la conferma del suicidio. La criminologa: “Non è un martire, e la sua morte non è giustizia” (FACEBOOK FOTO) – Notizie.com

Sul corpo del giovane non è stata rilevata nessuna lesione o segno di colluttazione. Disposti anche esami tossicologici, i cui risultati si attendono entro 90 giorni. Argentino si è tolto la vita mercoledì scorso e ora su quella tragedia la Procura della Città dello Stretto, coordinata da Giuseppe D’Amato, ha aperto un’indagine. Sabato sono partiti gli avvisi di garanzia. Tra gli indagati ci sono anche i vertici della struttura carceraria.

Il suicidio di Stefano Argentino oltre ad essere preannunciato, e volutamente o meno ascoltati gli indicatori intenzionali, non è una vittoria. Né per lo Stato italiano, né per la situazione carceraria e meno ancora per la memoria di Sara Campanella. Lo Stato non solo è responsabile per non aver disposto la perizia psichiatrica, ma anche e soprattutto per non aver protetto la vittima nell’anno di stalking subito”.

Munafò in esclusiva per Notizie.com: “Il carcere non deve rappresentare un mero abbandono a sé stessi”

A parlare, in esclusiva per Notizie.com, è Flavia Munafò, criminologa, direttrice dello sportello di ascolto e prevenzione Socio Donna di Roma, presidente di Sia (Sociologi italiani associati). Nella vicenda del suicidio di Argentino è indagato anche il responsabile del trattamento e i quattro esperti, uno psichiatra e tre psicologi, che avevano in cura il giovane.

Una nota di demerito – ha continuato Munafò – va posta anche sulle carceri, perché l’istituzione penitenziaria deve essere educativa e non deve rappresentare un mero abbandono a sé stessi, ai demoni che possono emergere e scaturire da ciò che si è commesso e dal rapporto con gli altri detenuti. Per non parlare poi delle condizioni di vita inumane”.

Argentino, killer di Sara Campanella
Munafò in esclusiva per Notizie.com: “Il carcere non deve rappresentare un mero abbandono a sé stessi” (FACEBOOK FOTO) – Notizie.com

Stefano, che dal momento dell’arresto aveva manifestato intenzioni suicide, per molti mesi era sottoposto ad una stretta sorveglianza ed era in isolamento. Proprio nel timore di gesti autolesionisti. Negli ultimi tempi, a dire degli esperti che lo avevano in cura, le sue condizioni erano però migliorate: da qui la decisione di togliere la sorveglianza e portarlo a un regime di detenzione ordinario.

Stefano Argentino non è un martire. – ha sottolineato la sociologa – Era uno stalker e un femminicida, e le cose vanno chiamate con il loro nome. Sara Campanella aveva il diritto di essere protetta dallo Stato che ora risarcisce economicamente la famiglia del ragazzo. Il suicidio di Argentino non è giustizia. Quella sarebbe stata scontare una pena quotidianamente. Una vita spezzata non si archivia con il suicidio del colpevole e lo Stato non ripaga nulla, deve tutelare chi è vittima, chi denuncia”.

“Appelli a denunciare, ma lo Stato deve tutelare”

La mattina in cui si è suicidato, il ragazzo era in cella con un anziano mentre gli altri compagni erano all’esterno per l’ora d’aria. Stefano Argentino si è impiccato con un lenzuolo. Durissime le parole del suo legale, l’avvocato Giuseppe Cultrera. Quest’ultimo ha parlato di responsabilità dello Stato che non è riuscito a tutelare il ragazzo. Il difensore ha anche scritto una lettera al Garante dei detenuti perché prendesse posizione.

Noi continuiamo a fare appelli al donna di avere il coraggio di parlare, di denunciare. – ha affermato Flavia Munafò – Si può dire sicuramente che tutti gli sportelli antiviolenza poi seguono le donne nel percorso di denuncia e nel percorso di tutela post denuncia. Ma lo Stato deve tutelare. Se viene disposto un braccialetto elettronico, il dispositivo deve essere abilitato. Bisogna assolutamente considerare in maniera molto più corposa i divieti di avvicinamento, non si può soltanto arrivare alla stazione dei carabinieri e denunciare”.

Nel fascicolo d’indagine la Procura ipotizza i reati di omissione di atti d’ufficio e morte come conseguenza di altro reato. Lo scopo è comprendere cosa non abbia funzionato. Perché nonostante Argentino fosse in cura da quattro esperti nessuno si è accorto delle sue fragilissime condizioni di salute mentale? Da accertare anche eventuali responsabilità dei vertici del carcere nella sorveglianza del detenuto.

Si arriva a denunciare perché c’è un pericolo, – ha specificato Munafò – perché c’è una situazione che richiede una denuncia, un allontanamento. Misure cautelative per la vittima. Lo Stato in questo deve collaborare maggiormente con tutti gli operatori che si fanno carico ogni giorno di aiutare le donne a esporsi e a uscire da situazioni di violenza. La donna fa fatica per andare a denunciare. Noi ci mettiamo tutto l’impegno e la professionalità possibile, però poi dopo abbiamo bisogno dell’aiuto anche dall’altra parte”.

La criminologa: “Le istituzioni devono aiutare anche noi”

Per il femminicidio di Sara Campanella, studentessa universitaria di 22 anni, il 10 settembre prossimo si sarebbe dovuta tenere la prima udienza del processo davanti la Corte d’assise di Messina. Lo scorso 12 giugno il procuratore Antonio D’Amato aveva chiesto il giudizio immediato per Argentino, contestandogli anche le aggravanti della premeditazione e della crudeltà. Le indagini dei carabinieri hanno accertato che Sara il giorno del suo femminicidio si era accorta di esser seguita. Aveva inviato un messaggio alle amiche con la scritta “il malato mi segue“.

Le istituzioni – ha concluso la criminologa – devono assolutamente aiutare anche noi. Noi che aiutiamo le vittime a poter fare un lavoro sinergico per mettere in atto un vero circolo di protezione. Se arriva la denuncia, il divieto di avvicinamento deve essere attivato in tempi brevi. Se c’è bisogno di un braccialetto elettronico deve essere attivato in tempi brevi. Non stiamo parlando di utopie, stiamo parlando di fatti concreti”.

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