Codice di condotta per gli influencer, arriva l’ok dell’Agcom. “Ma non risolve i problemi del fake ingagement e del sensazionalismo sui casi di cronaca giudiziaria”.
Multe fino a 600mila euro, maggiore trasparenza nei messaggi pubblicitari, il rispetto dei minori e della dignità umana, una stretta sui discorsi che incitano all’odio e regole a garanzia del diritto d’autore. Sono tutte le novità contenute nel Codice di condotta per gli influencer, che è stato approvato dal Consiglio dell’Agcom con il voto contrario della commissaria Elisa Giomi.
Proprio lei, professoressa associata di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università degli Studi Roma 3, in una nota, ha spiegato il motivo della presa di posizione. Questo documento “fallisce l’obiettivo di colmare il gap tra mondo audiovisivo e ecosistema digitale in termini di tutela per gli utenti oltre che per il mercato”.
Il Codice di condotta si applica agli influencer che hanno almeno 500mila follower o un milione di views ed è frutto di un confronto dell’Agcom con le associazioni di categoria e dei consumatori, del comparto pubblicitario e dei professionisti del settore. Un lavoro cominciato due anni fa, dopo il Pandoro gate che vide coinvolta Chiara Ferragni.
Codice di condotta influencer: “Potranno ancora fare pubblicità occulta”
Giomi però, spiega che in realtà “gli influencer potranno continuare a operare in una sorta di “zona franca” senza gli obblighi previsti dal Tusma, ovvero la legge di settore per l’audiovisivo. Ad esempio, sarà ancora possibile per un influencer fare pubblicità occulta, proporre contenuti dannosi per i minori, istigare all’odio, spettacolarizzare la violenza o deresponsabilizzare l’autore, favorendo la vittimizzazione secondaria: tutte condotte che nel mondo dell’audiovisivo sono espressamente vietate, e dunque perseguibili”.
“Nessuna soluzione al fake engagement”
Ma ben più grave e deleterio per i media tradizionali, è il fatto che il Codice di condotta non contenga soluzioni al tema del fake engagement. Ovvero i casi in cui le interazioni ai profili degli influencer non sono generate da utenti reali, ma create in modo artificiale attraverso l’acquisto di servizi. “Lo avevo chiesto con forza ed è una grave mancanza”, dice Giomi.
Grave mancanza perché in questo modo i contenuti risultano “drogati da metriche di interazioni false“, che portano le aziende a spendere di più in pubblicità per gli influencer, a scapito dei media tradizionali: stampa, tv e radio. Un meccanismo distorto insomma, che crea consenso e reputazione online in modo artificiale, con conseguenti danni “non solo per gli investitori pubblicitari e per i media tradizionali, ma anche per i creator onesti, svantaggiati nella visibilità a chi usa scorciatoie, e soprattutto per gli utenti, ingannati sul reale successo e autorevolezza degli influencer che seguono”.
Il Codice di condotta per gli influencer prevede che questi ultimi abbiano la piena responsabilità editoriale dei contenuti che producono. E per questo verrà istituito un elenco ufficiale, pubblico sul sito dell’Agcom, al quale iscriversi entro sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento.
Le regole previste per la pubblicazione dei contenuti riguardano i criteri di trasparenza, responsabilità e riconoscibilità. In particolare, la correttezza e l’imparzialità dell’informazione, il rispetto della dignità, il contrasto ai discorsi di odio. E ancora: la tutela dei minorenni e del diritto d’autore, ma anche la trasparenza delle comunicazioni commerciali, che devono contenere un rimando al regolamento di autodisciplina Digital Chart promosso dall’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap).
Il tema della spettacolarizzazione dei casi giudiziari
Chi non rispetterà le regole, dovrà pagare multe fino a 250mila euro, che possono raggiungere i 600mila qualora venisse violata la tutela dei minori. “Si tratta di una tappa decisiva nella costruzione di un nuovo equilibrio tra libertà di espressione, diritti degli utenti e responsabilità dei creator digitali”, ha detto il commissario Massimiliano Capitanio.
Parole però, che non condivide la collega Giomi, la quale grida al rischio di “ambiguità interpretative”. Questo perché “I creatori di contenuti potranno rappresentare in modo sensazionalistico e fuorviante casi giudiziari senza subire le stesse conseguenze che subirebbe un’emittente televisiva”.