Open Arms, una riflessione sul ricorso in Cassazione della Procura contro l’assoluzione di Matteo Salvini con la senatrice Erika Stefani.
Nei giorni scorsi la Procura di Palermo ha presentato ricorso in Cassazione contro l’assoluzione dell’ex ministro dell’Interno nell’ambito del processo Open Arms.
Facciamo un passo indietro. A dicembre 2024 Matteo Salvini è stato assolto dai reati di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per la vicenda che risale al 2019, quando era ministro del governo giallo-verde e si rifiutò di far sbarcare a Lampedusa la nave della ong Open Arms con a bordo 147 migranti.
Il 18 luglio, dopo aver letto le motivazioni della sentenza, la Procura di Palermo con una mossa a sorpresa ha bypassato l’Appello presentando un ricorso direttamente alla Corte di Cassazione. Tecnicamente questa modalità è detta ricorso per saltum e si applica quando la magistratura decide di appellarsi al diritto, ovvero quando ritiene che le norme siano state mal interpretate.
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Insieme alla separazione delle carriere e all’emergenza carceri, la vicenda del ricorso è uno dei temi riguardanti la giustizia italiana più discussi di questi giorni. In particolare, nel caso Open Arms, il dibattito è sull’appellabilità dopo una sentenza di assoluzione.
Uno dei primi a parlarne è stato proprio il Guardasigilli Carlo Nordio, annunciando provvedimenti in futuro. Non adesso dunque, forse perché in pentola già bolle la riforma della giustizia. O forse perché decidere sul tema subito dopo il ricorso presentato dopo l’assoluzione di un ministro, non sarebbe una bella figura per il governo.
Erika Stefani (Lega) a Notizie.com: “Casi clamorosi in cui ci si chiede perché la sentenza sia stata impugnata”
“È doveroso che quando si fa un ragionamento su una modifica normativa o sull’introduzione comunque di una fattispecie nuova, non si debba mai fare su un fatto concreto. Perché verrebbe meno la matrice fondamentale delle leggi”. Con queste parole, anche la senatrice della Lega Erika Stefani, segretaria del Senato ed ex ministra, chiude il discorso: adesso non se ne parla perché non è il momento.
Tuttavia la riflessione sul tema dell’appellabilità a una sentenza di assoluzione, è più aperto che mai. “Non occorre andare tanto distante nel tempo. Vi sono casi, anche clamorosi, di sentenze di assoluzione in primo grado e in secondo grado. Per essi ci si domanda quali possano essere state le ragioni che hanno spinto ad impugnare una sentenza”.
“I casi in cui l’assoluzione si è trasformata in condanna sono molto dubbi”
Per Stefani è anche una questione di diritti dell’imputato: “In questi casi c’è un aggravio di spese non solo legali, ma anche processuali. E i costi sono in termini di tempo e serenità”.
E c’è anche un altro fatto: “I casi in cui l’assoluzione si è trasformata in condanna sono sempre stati molto dubbi”. Come non menzionare il caso Garlasco, che ha visto Alberto Stasi assolto in primo e secondo grado nel 2009 e nel 2011, poi condannato in Appello nel 2014 e infine in via definitiva nel 2015. E oggi, a distanza di dieci anni dalla sentenza della Cassazione, una nuova indagine sull’omicidio di Chiara Poggi è stata riaperta.
La legge già oggi prevede per alcuni reati che il pubblico ministero non possa impugnare la sentenza di assoluzione. Si tratta di casi di crimini minori come la rissa, l’istigazione a delinquere e la falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sull’identità.