È morta a casa sua a Perugia nelle scorse ore Laura Santi di 50 anni, giornalista. La donna si auto-somministrata un farmaco letale dopo il via libera dell’Asl Umbria 1 al suicidio assistito.
“Mi sono consentita, in una situazione che ancora reggeva, di assaporare gli ultimi scampoli di vita e di bellezza”. Sono queste alcune delle ultime parole che Laura Santi ha affidato all’associazione Luca Coscioni prima di auto-somministrarsi il farmaco letale e morire nella sua casa dopo il via libera al suicidio assistito.
“Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, si dice. – ha scritto la donna – Si dice anche che sia impossibile, nei fatti. Ebbene, io l’ho quasi realizzato. Me ne vado avendo assaporato gli ultimi bocconi di vita in maniera forte e consapevole. Intendetemi: io penso che qualsiasi vita resti degna di essere vissuta anche nelle condizioni più estreme. Ma siamo noi e solo noi a dover scegliere”.
Laura Santi, giornalista di 50 anni, è morta nelle scorse ore a Perugia. La donna era affetta da una forma progressiva e avanzata di sclerosi multipla. Accanto a lei, suo marito Stefano, che le è sempre stato vicino anche negli ultimi anni di battaglia sul fine vita: “Le sue sofferenze erano diventate per lei intollerabili”. Attivista dell’associazione Coscioni, Santi aveva attivato su base volontaria il personale medico e infermieristico che l’ha assistita nella procedura.
Laura Santi, una vita tra giornalismo e impegno civile
Laura Santi, classe 1974, era una giornalista freelance e attivista per i diritti civili. Era affetta da sclerosi multipla progressiva da oltre venticinque anni, era diventata tetraplegica e completamente dipendente da assistenza. Collaborava con il Corriere dell’Umbria. Per diversi anni ha gestito la rubrica Io, Stefano e la sclerosi multipla pubblicata su Vanity Fair.
Laureata in Comunicazione all’Università per Stranieri di Perugia, era impegnata anche come addetta stampa per organizzazioni non profit. Gestiva il blog La vita possibile contribuendo al dibattito su disabilità, welfare e diritti. Era poi consigliera generale dell’associazione Coscioni.
La giornalista aveva avuto il via libera dalla sua Asl di riferimento nel giugno scorso dopo due anni e mezzo dalla sua richiesta per l’accesso al suicidio assistito e un lungo percorso giudiziario. Nella sua lettera, Santi ha sottolineato che “la vita è degna di essere vissuta, se uno lo vuole, anche fino a cento anni e nelle condizioni più feroci, ma dobbiamo essere noi che viviamo questa sofferenza estrema a decidere e nessun altro”.
La donna ha dovuto affrontare un lungo e complesso iter giudiziario, civile e penale, per vedere riconosciuto il diritto ad accedere al suicidio medicalmente assistito. Dopo tre anni dalla richiesta iniziale alla Asl, due denunce, due diffide, un ricorso d’urgenza e un reclamo nei confronti dell’azienda sanitaria, solo nel novembre 2024 ha ottenuto una relazione medica completa.
Suicidio assistito: i casi di Federico, Gloria e Anna
Il documento attestava il possesso dei requisiti stabiliti dalla sentenza 242\2019 della Corte costituzionale. A giugno 2025 poi la conferma dal collegio medico di esperti e del comitato etico sul protocollo farmacologico e delle modalità di assunzione. Lo scorso anno l’arcivescovo di Perugia monsignor Ivan Maffeis aveva fatto visita a Santi. “Questo è il giorno del silenzio, – ha detto Maffei – abitato dal dolore per lo spreco che la morte porta con sé. E dalla riconoscenza per il tratto di strada condiviso”.
Nel giugno 2022, Federico Carboni, 44enne di Senigallia, conosciuto durante la sua battaglia con il nome di fantasia Mario, è stato il primo italiano ad aver chiesto e ottenuto l’accesso al suicidio. Nel 2023, Gloria, donna veneta di 78 anni, paziente oncologica, è stata la seconda. Sempre nel 2023, Anna, donna di 55 anni affetta da sclerosi multipla, è stata la prima ad aver avuto accedere alla procedura con l’assistenza completa del Servizio sanitario nazionale.
Pioniere della battaglia per il diritto all’eutanasia Piergiorgio Welby che nel 2006 chiese che fossero interrotte le cure che lo tenevano in vita. Il 16 dicembre 2006 il Tribunale di Roma respinse la richiesta dei legali di porre fine all’accanimento terapeutico, dichiarandola inammissibile. La stessa sera fu staccato il respiratore. Il medico anestesista che gli somministrò i sedativi fu accusato di omicidio del consenziente e venne prosciolto.
Nel luglio 2008, la Corte d’Appello di Milano autorizzò la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione per Eluana Englaro, di Lecco, finita in stato vegetativo permanente dopo un grave incidente stradale nel 1992, e mantenuta in vita artificialmente. Il padre Beppino avviò una lunga azione legale chiedendo l’interruzione del trattamento sanitario. Nel novembre 2008 la Cassazione confermò l’autorizzazione e pose la parola fine alla vicenda. Il 6 febbraio 2009 Eluana venne trasferita in una struttura privata di Udine. Il 9 febbraio morì per sospensione del sostegno vitale.
Disegno di legge sul fine vita, a che punto siamo in Italia
Molto noto poi il caso di Fabiano Antoniani, dj Fabo, reso paraplegico e cieco da un incidente d’auto, morto il 27 febbraio del 2017, attraverso il suicidio assistito, in una clinica in Svizzera. Il 40enne chiese aiuto a Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Coscioni, che lo accompagnò per sottoporsi alla procedura di morte volontaria. Tornato in Italia, Cappato si autodenunciò e fu iscritto nel registro degli indagati per il reato di aiuto al suicidio venendo assolto nel 2019 perché il fatto non sussiste.
Il 2 luglio scorso, intanto, la bozza di legge sul fine vita è finalmente approdata in Parlamento con il via libera della maggioranza. Le commissioni Giustizia e Sanità del Senato hanno già approvato il testo, con il parere contrario delle opposizioni. È stato creato un comitato ristretto ad hoc col compito di scrivere un testo unificato. Nel disegno di legge è escluso il Sistema sanitario nazionale. Dunque per il centrodestra il fine vita non potrà essere erogato dalla sanità pubblica.