“Nei momenti in cui servirebbe più energia, alcuni dei pilastri del sistema iniziano a traballare. Un esempio su tutti appunto il nucleare francese. Se manca l’acqua nei fiumi, o se è troppo calda, i reattori rallentano o si fermano”.
A parlare, in esclusiva per Notizie.com, è Marco Lupo. Quest’ultimo è amministratore e direttore commerciale di Utilities dimension, delegato Assium Emilia Romagna ed esperto nei settori dell’energia elettrica e del gas naturale.
Sulle bollette di luce e gas peserà, e molto, l’ondata di calore che ha investito l’Italia e l’Europa negli ultimi giorni, ma non solo per l’ovvia domanda di energia per raffreddare gli ambienti di case, uffici e luoghi pubblici al chiuso. Il macigno è rappresentato dal costo del cambiamento climatico che incide addirittura sulla produzione nucleare francese. Il tutto nonostante il clima geopolitico leggermente più distensivo, dopo la fine della guerra dei dodici giorni tra Iran ed Israele. Ma i prezzi stanno davvero scendendo?
“Posso confermare che ci troviamo in una fase di grande instabilità, dove i prezzi reagiscono più alle percezioni che ai fondamentali. – ha spiegato Lupo – Dopo l’attacco israeliano del 13 giugno all’Iran, abbiamo visto un’impennata immediata dei prezzi: +20% in pochi giorni, con picchi di 0,48 €/Smc sul Psv (Punto di scambio virtuale) e di 0,136 €/kWh sul Pun (Prezzo unico nazionale). Come da mie previsioni, da allora, nonostante il ritorno a una sorta di stallo diplomatico, i prezzi non sono tornati ai livelli primaverili”.
Marco Lupo a Notizie.com: “Gaza a differenza dell’Iran non è un driver energetico”
Secondo l’esperto tutto ciò è tutt’altro che sorprendente. Bisogna sempre considerare che i mercati, quando salgono per effetto di crisi improvvise, impiegano sempre molto più tempo a scendere. Ciò soprattutto in presenza di volatilità alimentata da strumenti finanziari. Per capire la correlazione di Gaza al fronte energetico, basti osservare le posizioni degli attori di quelle regioni. L’Iran, come nemmeno Libano, Siria e Yemen, nonostante il massiccio attacco nella Striscia post stragi del 7 ottobre 2023, non è mai intervenuta militarmente in difesa del Paese arabo.
“L’intervento militare iraniano è stato a tutti gli effetti provocato. – ha continuato l’esperto – Questo indica una netta separazione tra il conflitto israelo-palestinese e la crisi energetica. Per quanto tragico, Gaza non è un driver energetico. Non ci sono risorse né infrastrutture rilevanti. Il suo impatto è nullo se il conflitto resta circoscritto. Al contrario, sono i Paesi del Golfo come Iran, Yemen ed Arabia Saudita a rappresentare veri punti sensibili. Quando ho appreso nelle ultime ore la notizia del missile yemenita intercettato da Israele mi si è delineata meglio la situazione”.
Si tratterebbe insomma di un segnale da monitorare, perché quando si toccano rotte cruciali come Suez o Hormuz, si tocca davvero il cuore dei mercati. Eventi come questo riaccendono lo squilibrio e mantengono il mercato in tensione, facendo fibrillare hedge fund, fondi speculativi e operatori finanziari, attori invisibili che muovono volumi enormi su derivati di gas ed energia.
Un missile da qualche decina di migliaia di dollari da solo ha prodotto un +4% sul brent (il petrolio greggio estratto nel mare del Nord) e sul Ttf (Title transfer facility, il principale mercato virtuale di riferimento per lo scambio di gas naturale in Europa) e un impatto da 530 milioni di dollari scaricati sulla domanda globale di energia.
L’Ucraina utilizzata come leva speculativa
“Anche l’Ucraina oggi ha un peso solo psicologico. – ha specificato l’esperto – Il gas russo è stato in gran parte sostituito. Anche una pace improvvisa non riaprirebbe le forniture da Mosca: troppo profonde le fratture, troppo cambiato il quadro europeo. Oggi l’Ucraina è usata come leva speculativa, non come hub energetico. In conclusione, vorrei rispondere chiaramente alla domanda ‘i prezzi stanno davvero scendendo?’ con un ‘no’ piuttosto deciso: i prezzi non stanno realmente scendendo. Il mercato energetico naviga vista, in acque ancora insidiose”.
Il caldo torrido che sta intanto colpendo l’Europa sta facendo impennare i consumi elettrici per la climatizzazione. E la produzione nucleare in Francia risente della scarsità d’acqua nei fiumi, necessaria per il raffreddamento dei reattori.
“Voglio essere pragmatico: il cambiamento climatico, al di là delle varie dichiarazioni ufficiali sul riscaldamento globale, non è più una variabile ‘di contorno’. – ha affermato il direttore commerciale – Oggi è un vero moltiplicatore di instabilità. Gli eventi metereologici avversi sono un fatto, non una predizione. Lo vedo direttamente dai grafici relativi alla domanda energetica nazionale e dalle offerte infragiornaliere dei trader in salita”.
In pratica l’ondata di caldo che sta colpendo l’Europa sta facendo esplodere i consumi elettrici per raffreddare case, uffici e aziende. In certe giornate si toccano picchi anche del 20-25% in più rispetto alla media stagionale. Questo è diventato anche un problema tecnico. Le reti non riescono a far fronte ai picchi improvvisi dettati dal caldo e hanno causato blackout territoriali a Bergamo, Firenze, Milano, Roma e dintorni nelle scorse ore.
Il caso delle centrali nucleari francesi
“Il problema è che proprio nei momenti in cui servirebbe più energia, alcuni dei pilastri del sistema iniziano a traballare. – ha sottolineato Marco Lupo – Un esempio su tutti appunto il nucleare francese. Se manca l’acqua nei fiumi, o se è troppo calda, i reattori rallentano o si fermano. Lo ripeto spesso anche ai clienti: quando la Francia riduce produzione, l’effetto arriva a cascata ovunque, anche da noi. Il prezzo del Pun si alza, si accendono le centrali a gas, che per motivi geopolitici paghiamo caro, e il costo della bolletta segue. Lo abbiamo visto chiaramente l’anno scorso, e anche quest’estate ci risiamo”.
“Mi rendo conto ogni giorno di quanto il sistema energetico europeo sia ancora fragile davanti al clima estremo. Serve una pianificazione più seria, più profonda perché i fenomeni climatici estremi non sono più eccezioni: sono la nuova normalità. Quindi sì, il caldo incide, e parecchio, sui rincari di luce e gas. Al momento, lasciatemi dire che non siamo affatto pronti ad affrontare sul serio l’impatto climatico sulla produzione energetica tradizionale”.
Mentre si parla di transizione verde, di rinnovabili e di autonomia energetica, i consumatori italiani continuano a ricevere bollette imprevedibili e spesso in crescita. Quanto conta oggi il fattore climatico e ambientale, e quanto invece restano decisive le speculazioni finanziarie legate alla guerra e ai grandi hub energetici europei?
“I prezzi dell’energia sono frutto di un di un intreccio tra clima, politica e finanza. Il fatto è che più sei fragile come Paese, più ne subisci l’impatto. – ha concluso l’esperto di energia – Se hai una rete vecchia, non autoproduci a sufficienza, gli approvvigionamenti sono strette in una morsa di subordinazione dall’estero, basta un’ondata di caldo o un’escalation geopolitica per farti saltare i conti. È un po’ come arrivare impreparati a un esame a causa di squilibri familiari: tutto gioca contro di te”.
“Il clima fa impennare i consumi, la politica decide da chi e come compri, la finanza ti fa il prezzo. Sono tre forze che si alimentano a vicenda e che pesano in base ai tuoi movimenti. Per questo io spero che la politica energetica venga guidata sempre più da tavoli tecnici, e sempre meno da affari di palazzo o logiche di bandiera. Spero si abbia il coraggio di guardare ai problemi veri, e di risolverli in modo pragmatico, al di là delle ideologie. Servono scelte strategiche, frutto di visione“.