All’indomani del vertice Nato, l’Italia ha ottenuto una certa flessibilità nell’attuazione dell’impegno di destinare il 5% del Pil entro il 2035 alla difesa.
La premier Giorgia Meloni, all’interno del dibattito politico che si è scatenato, ha rassicurato che tali risorse non finiranno col sottrarre fondi a settori essenziali. Uno si tutti, la sanità.
Per analizzare il complesso quadro entro cui i Paesi dell’Alleanza Atlantica si stanno muovendo e fare il punto della situazione abbiamo sentito Salvatore De Meo (Ppe – Forza Italia), capo delegazione del Parlamento europeo presso l’Assemblea parlamentare della Nato. Partiamo proprio dall’enorme cifra richiesta dall’Alleanza Atlantica e dal rischio di trasferire fondi da settori fondamentali per il Paese.
“È un impegno politico importante. – ha detto De Meo, in esclusiva per Notizie.com – Fin dal primo momento abbiamo chiesto sì flessibilità, ma non abbiamo mai inteso sottrarre risorse destinate al welfare, alla spesa sociale. Sarebbe un errore. Dovremo lavorare per attingere agli strumenti che sono stati messi a disposizione dall’Unione europea”.
Salvatore De Meo in esclusiva per Notizie.com: “La difesa comune sia realtà e non solo un buon proposito”
“Noi insistiamo sempre che si deve immaginare anche il ricorso al debito comune, che è l’unico modo per poter dare a tutti gli Stati la possibilità di fare lo sforzo che l’Alleanza Atlantica ci ha chiesto. Proprio per far sì che la difesa comune diventi la realtà e non soltanto un buon proposito”.
La spesa militare è comunque stata presentata come un’opportunità per le imprese italiane. Ma esistono strumenti concreti per garantire che i benefici economici ricadano davvero sul tessuto produttivo nazionale e non su grandi contractor esteri, spesso favoriti negli appalti Nato?
“Bisogna stimolare il processo di conversione, senza rinunciare alle nostre linee e filiere tipiche e caratteristiche della manifattura italiana. – ha continuato l’europarlamentare di Fi – È un processo articolato, complesso, che va ovviamente accompagnato. È il motivo per cui il programma che l’Europa ha messo in campo vuole stimolare questa grande opportunità”.
“L’Italia può giocare un ruolo importante proprio perché siamo i leader nella manifattura. E siamo evidentemente il soggetto più indicato per cogliere l’opportunità sulla componentistica e su tutto ciò fa parte della difesa oltre agli armamenti convenzionali. E quindi sicurezza, anche alimentare, innovazione, infrastrutture. La declinazione del concetto di difesa è più ampio rispetto all’immaginario collettivo in queste ore. Alcuni stanno cercando di stimolare solo gli armamenti”.
“Concetto di difesa globale, ma no a contenitori generici”
L’obiettivo del 5% include un 1,5% per “sicurezza” in senso lato. Infrastrutture, reti digitali, innovazione. Un altro rischio è che una così ampia definizione diventi un contenitore opaco. Al suo interno potrebbero essere inserite voci di spesa molto lontane dalla reale finalità difensiva. C’è il pericolo di perdere trasparenza e controllo democratico su come vengono spesi i soldi pubblici?
“Bisogna avere un concetto di difesa globale, ma non possiamo lasciare che questo diventi un contenitore generico. – ha sottolineato Salvatore De Meo – La necessità è costruire un percorso che vada di pari passo con una cultura della difesa che deve partire dal basso. Dobbiamo responsabilizzare i cittadini. Questo è un investimento per il futuro, per una condizione di benessere globale”.
“All’interno del programma che ogni singolo stato metterà in campo, declinandolo in maniera pragmatica, dev’essere ben chiaro che il concetto di difesa deve sì passare attraverso l’industria degli armamenti e per i dispositivi convenzionali, ma ci devono essere linee dedicate alla cybersicurezza, all’innovazione, a tutto ciò che deve rafforzare la resilienza del nostro continente. Non sono preoccupato dalla genericità perché anche la suddivisione tra 3,5 e 1,5% fornisce una cornice all’interno della quale ci si può muovere ma non si può oltrepassare”.
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E infine: l’adesione convinta al 5% della Nato è ancora compatibile con l’idea di un esercito europeo autonomo? “Credo che l’obiettivo dell’esercito europeo sia un po’ più in là, non c’è bisogno adesso di accelerare i tempi. – ha concluso il capo delegazione – Capiamo che ci sono delle resistenze che necessitano di tempo per metabolizzare la cultura della difesa. Che non deve vedere solo i legislatori ma anche i cittadini protagonisti. L’esercito comune è l’obiettivo ottimale, ma che non può concepirsi nel breve termine”.
“Penso che si possa immaginare prima un miglior coordinamento dell’industria degli armamenti e delle interforze. Prendendo a modello quello della Nato. E che l’Europa possa rafforzare la sua presenza all’interno dell’Alleanza Atlantica che rimane sempre il nostro orizzonte, il nostro faro. Per garantire che l’Occidente tutto possa rafforzare la sua difesa. L’esercito comune è un passaggio successivo e spero che alcuni non vogliano utilizzare il concetto per così destabilizzare un dibattito che invece deve essere caratterizzato dal grande senso di responsabilità”.