Il regime degli ayatollah combatte due guerre: quella con Israele e l’altra con il suo stesso popolo. Che però non vuole la libertà al costo di una guerra imposta.
Da un lato c’è Israele, che giustifica l’attacco dell’alba di venerdì 13 giugno con la corsa al nucleare di Teheran. Che rappresenta un pericolo non solo per il Medio Oriente, ma per il mondo intero. E per questo sferra attacchi agli obiettivi strategici, con l’obiettivo di annientare tutte le infrastrutture per impedire all’Iran di costruire la bomba atomica. Attacchi nei quali sono stati uccisi anche scienziati, oltre che personalità di spicco della sfera pubblica iraniana.
Dall’altro lato c’è l’Iran, che non ha intenzione di arrendersi e risponde agli attacchi, ma sul campo sta dimostrando di potere poco di fronte alle bombe israeliane. Il regime degli ayatollah è in bilico, Ali Khamenei è nascosto in un bunker insieme con la sua famiglia e da lì invia tiepidi messaggi agli Usa per negoziare sul programma nucleare.
Ci sono poi sono la Russia e la Cina, che sostengono Teheran. Dal Cremlino è partito un netto avvertimento: “L’uccisione di Ali Khamenei aprirebbe un vaso di Pandora“. E poi ci sono gli Usa: Donald Trump ha dato all’Iran due settimane di tempo, durante le quali deciderà se entrare o meno nel conflitto. Il capo della Casa Bianca ha scelto di seguire la linea dell’intelligence israeliana e non quella del suo Paese e dell’Aeia sull’allarme nucleare iraniano.
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Secondo Tel Aviv, l’Iran è più vicino che mai a costruire un’arma nucleare, mentre l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha fatto sapere di “non poter affermare che al momento ci sia stato uno sforzo sistematico in Iran per cercare di sviluppare un’arma atomica“. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che non è un obiettivo quello di far cadere il regime degli ayatollah, ma la fine di quest’ultimo potrebbe rivelarsi una “conseguenza” della guerra.
Cosa pensa il popolo iraniano?
Piazzati al centro tra tutte queste parti ci sono i cittadini iraniani che da anni, con una ribellione silenziosa e spesso al costo della vita, combattono per la propria libertà. Anche in questi giorni in Iran vengono giustiziati i dissidenti del regime. Ma gli iraniani intendono conquistare da soli la democrazia, e non al costo di una guerra imposta da un altro Paese. Il regime di Ali Khamenei affronta due guerre: quella contro Israele e l’altra contro il suo stesso popolo.
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Il conflitto tra Iran e Israele “segna l’inizio di un capitolo nuovo e cruciale“, ha spiegato a Notizie.com Shahrzad Sholeh, presidente dell’Associazione delle donne democratiche iraniane (Addi) in Italia, che sostiene il Consiglio nazionale della resistenza iraniana. Il capitolo di cui parla riguarda “sia la crisi interna, sia le dinamiche più ampie della regione”.
Ma, aggiunge, “non vogliamo ingerenze esterne, perché gli attori coinvolti farebbero i loro interessi, che non hanno nulla a che vedere con la lotta del nostro popolo”. La paura è che un eventuale vuoto di potere causato dalla guerra possa essere colmato da un governo imposto dall’Occidente. “Chiediamo semplicemente di isolare l’attuale regime, di mettere da parte i tentativi di dialogo e quelli per cercare di riformarlo. E di inserire il Corpo delle guardie della rivoluzione nella lista dei terroristi”.
La via della resistenza iraniana (anche) come soluzione per la pace con l’Occidente
Esiste un’opzione per l’Occidente: “La presentiamo da ormai vent’anni. Una via che riconosce la lotta del popolo iraniano e la sua resistenza contro ogni forma di dittatura, sia quella precedente dello Scià, sia quella attuale dei Mullah, sulla base di un piano in dieci punti presentato nel 2006 al Consiglio d’Europa”.
La resistenza iraniana ha il nome di una donna: Maryam Rajavi, presidente del Consiglio nazionale della resistenza iraniana. “L’unica soluzione praticabile resta il rovesciamento di questo regime da parte del popolo iraniano e della sua resistenza organizzata”, ha detto proprio in questi giorni al Consiglio d’Europa a Strasburgo.