Lo avevamo già preannunciato il 14 marzo scorso, a pochi giorni dalla riapertura ufficiale delle indagini sul delitto di Garlasco. La nuova inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi avrebbe potuto aprire un vero e proprio vaso di Pandora su numerosi cold case italiani.
A tre mesi esatti da quando si è rimessa in moto la macchina della giustizia su Garlasco, infatti, il Tribunale di Bergamo ha concesso agli avvocati di Massimo Bossetti le copie dei reperti analizzati dal Ris di Parma durante le indagini per la morte di Yara Gambirasio.
Nessun collegamento tra le due procedure giudiziarie sia chiaro, ma le mosse di magistratura, avvocati, consulenti e periti vanno ormai in un’unica direzione: analizzare nuovamente (o spesso per la prima volta), alla luce dei progressi scientifici, le prove di casi anche molto datati.
Due casi molto diversi quelli di Garlasco e di Brembate di Sopra, accomunati però dalle indagini della medesima scientifica, dai medesimi dubbi sui rilievi, dal fatto che i condannati si sono entrambi sempre dichiarati innocenti. Nel caso di Chiara Poggi, l’allora fidanzato Alberto Stasi sta scontando sedici anni di carcere, e sta aspettando paziente l’esito della nuova inchiesta che vede indagato Andrea Sempio, amico del fratello della vittima.
Yara Gambirasio, cosa hanno deciso i giudici bergamaschi
Bossetti, invece, anch’egli condannato in via definitiva, deve rispondere dell’omicidio di Yara. La 13enne fu rapita e uccisa a Brembate di Sopra il 26 novembre del 2010. E fu ritrovata in un campo a Chignolo d’Isola il 26 febbraio del 2011. Ma cosa prevede nello specifico il dispositivo firmato dai giudici bergamaschi? I legali dell’ex muratore di Mapello avranno a disposizione le copie delle immagini fotografiche ad alta risoluzione e quelle dei tracciati elettroferografici.
In sostanza si tratta della rappresentazione grafica delle analisi del dna dei reperti analizzati dal Ris di Parma durante le indagini. Il dispositivo fa seguito a un provvedimento della Corte d’Assise del 27 novembre 2019. Le copie delle foto, ad alta definizione, e dei tracciati elettroferografici verranno analizzati dal consulente della difesa Marzio Capra. La prova regina che ha portato alla condanna di Massimo Bossetti è proprio la presenza del suo dna nucleare (unico per ogni persona) sugli indumenti intimi di Yara.
La difesa avrà a disposizione, per la prima volta, il profilo genetico di Yara Gambirasio. E di tutti quelli raccolti (circa 25mila) per arrivare a identificare Ignoto 1, oltre alle foto in alta definizione degli indumenti che indossava la vittima. Il dna inizialmente fu identificato appunto come appartenente ad Ignoto 1. Dopo l’arresto fu eseguita la comparazione, avvenuta il 16 giugno 2014.
Pur proclamandosi innocente, il muratore non ha mai saputo spiegare la presenza del suo materiale genetico sugli slip della giovane vittima. Bossetti ha sempre sostenuto di non aver mai conosciuto Yara. I suoi legali nel corso del tempo hanno messo in dubbio la catena di custodia dei reperti. E sollevato dubbi sulla contaminazione e chiesto nuove perizie sul dna.
Non è inoltre mai stato individuato un movente credibile, seppur la condanna si è basata su indizi gravi, precisi e concordanti. L’autorizzazione del Tribunale di Bergamo arriva a sei anni dalla richiesta degli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini e seppure non è l’accesso diretto all’analisi dei reperti, è un permesso che potrebbe risultare fondamentale in vista dell’eventuale richiesta di revisione del processo.