Gli ayatollah sull’orlo del baratro in Iran. L’attivista iraniano per i diritti umani: “Ma devono essere gli iraniani a scegliere il loro destino”.
C’è chi crede che la guerra scatenata da Israele, oltre a fermare la corsa al nucleare dell’Iran possa far cadere gli ayatollah. E in questo modo portare la democrazia nel Paese.
A dirla tutta, il nome dell’operazione lanciata da Israele è Rising Lion, Leone nascente, e richiama non solo un versetto biblico sulla forza di Israele, ma anche il leone raffigurato sulla bandiera persiana prima del 1979, simbolo rimosso dal regime degli ayatollah.
Leone nascente, dunque, potrebbe richiamare proprio la fine della dittatura. Ma mentre l’Occidente dà per scontato che questa ipotesi sia la migliore anche per il Paese, in pochi si stanno chiedendo cosa pensino davvero gli iraniani.
“Iraniani stanchi del regime, ma vogliono essere loro a mandarlo a casa”
Certamente “sono tutti stanchi di questo regime“. Questa è la premessa, come ci ha raccontato Reza Rashidy, attivista iraniano dei diritti umani e giornalista. Ma la situazione è più complicata di così. “Molti non vedono di buon occhio che questo regime venga decapitato con la guerra di un Paese straniero”.
Gli iraniani “sono preoccupati dal vuoto di potere che si creerebbe” se Tel Aviv avesse la meglio in questa guerra. Inoltre, “se non dovesse crearsi un vuoto di potere, vorrebbe dire che Netanyahu ha già in mente con chi sostituirlo. E gli iraniani non sono contenti che Israele decida per loro quale governo insediare al posto di quello attuale. Sono loro, gli iraniani, a voler determinare il loro destino. Sono loro a voler abbattere il regime e sostituirlo”.
Reza Rashidy, contattato da Notizie.com, racconta che in Iran in questo momento “non c’è un sentimento unanime. In molti all’inizio hanno festeggiato”, l’attacco di Israele, “sperando che portasse alla liberazione del regime. Ma ora siamo arrivati al sesto giorno del conflitto e tanti cominciano ad aver paura e a cambiare idea”.
I cittadini dell’Iran vogliono portare avanti liberamente, e da soli, il loro percorso verso la libertà. Un percorso difficile ma che è cominciato e non può più arrestarsi. “In Iran è ancora difficile esprimersi, ma da tantissimi anni la popolazione, con una massiccia campagna di disobbedienza civile, esprime i suoi sentimenti e mette in crisi il regime. Ne è un esempio il movimento del settembre ’22: la gente protesta ed è disposta anche a rinunciare alla vita“.
Proprio la disobbedienza e la resistenza civile sta portando Ali Khamenei verso un’inesorabile disgregazione. “Il movimento del ’22 ha lasciato tracce indelebili e non si torna più come prima. E forse, la ricerca della guerra da parte del regime può essere vista come un tentativo di aggirare la perdita di credibilità, per evitare la decadenza”.
Rashidy a Notizie.com: “In questa guerra la colpa è di tutti”
Nella guerra tra Iran e Israele “non si può parlare di un buono e di un cattivo“, racconta Rashidy. “Questa situazione è il risultato di tanti decenni di inerzia, ma anche di arrendevolezza verso un regime nato 45 anni fa”. Una dittatura che ha fatto del sentimento anti-americano e anti-israeliano uno dei suoi fondamenti, tanto da citarlo nella Costituzione.
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“Ci sono tante responsabilità stratificate in tutti questi decenni. Addirittura il fatto che il regime stesso è nato 45 anni fa in un contesto mediorientale già segnato da odio e sangue. Questo ha ulteriormente intossicato la situazione in Medio Oriente”.