“La morte di Carmine non può restare senza giustizia. Se in Italia non è stato possibile ottenere un processo equo, sarà Strasburgo a doverlo garantire”.
A parlare sono i legali della famiglia di Carmine Puccinelli, il ragazzo di 14 anni di Napoli deceduto per un tumore mai diagnosticato in tempo. Nelle scorse ore è stato formalmente inviato oggi alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) di Strasburgo il ricorso presentato.
Del caso Notizie.com se n’era occupato già lo scorso febbraio, quando gli avvocati difensori della famiglia avevano annunciato il ricorso. Carmine è morto il 23 dicembre del 2023. Gli fu diagnosticato un tumore troppo tardi secondo la famiglia e i legali. Dunque Carmine avrebbe potuto salvarsi, stando ad una consulenza tecnica, se il cancro al ginocchio di cui il ragazzo soffriva fosse stato rilevato dai medici l’anno prima, a dicembre 2022.
In quel momento infatti i primi sintomi avevano già spinto la famiglia a cercare risposte in ambito medico. La neoplasia, però, fu scambiata dai medici curanti per una cisti, una contusione o del liquido da aspirare. Il ricorso, che supera le quattromila pagine tra atti e allegati, è stato redatto dallo Studio Associati Maior. Lo Studio è rappresentato dagli avvocati Michele Francesco Sorrentino, Pierlorenzo Catalan e Filippo Castaldo, con il supporto tecnico del medico legale Marcello Lorello.
Caso di Carmine Puccinelli, i familiari hanno citato lo Stato italiano
I familiari citano in giudizio lo Stato italiano per l’archiviazione delle indagini sui sanitari che ebbero in cura il giovane. Tra di essi solo uno è stato ritenuto responsabile, nonostante le evidenti omissioni diagnostiche e terapeutiche da parte di più professionisti. La famiglia sostiene che vi sia stata una responsabilità medica collettiva nell’omessa diagnosi tempestiva e nella mancata asportazione del tumore.
Il ricorso denuncia la violazione degli articoli 2, 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Gli articoli riguardano il diritto alla vita, il diritto a un processo equo e il diritto a un ricorso effettivo.
Particolarmente grave è stata ritenuta la circostanza che il giudice che ha disposto l’archiviazione non fosse territorialmente competente, in violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge.
L’archiviazione, inoltre, si sarebbe basata su valutazioni non equilibrate, privilegiando le perizie disposte dal pubblico ministero, senza possibilità di ricorso in Cassazione, anche a fronte di reati gravissimi. Lo Studio Maior ha quindi richiesto alla Corte di condannare lo Stato italiano, stabilendo un equo risarcimento per la mancata tutela giurisdizionale e l’adozione di misure individuali e generali, inclusa la possibile riapertura del procedimento penale.