Giovanni Brusca è libero dopo aver scontato tutti i debiti con la giustizia. Com’è possibile che colui che azionò il telecomando della strage di Capaci non debba scontare l’ergastolo.
U verru, lo scannacristiani. Qualsiasi sia il modo in cui lo si voglia chiamare, stiamo parlando di Giovanni Brusca, ex mafioso e oggi collaboratore di giustizia. È l’uomo che azionò il telecomando che innescò l’esplosione della strage di Capaci, il 23 maggio 1992.
Per lui sono terminati i 4 anni di libertà vigilata che gli era stata imposta dal Tribunale di sorveglianza dopo la scarcerazione del 2021. Era l’ultimo debito con la giustizia rimasto da scontare per l’ex boss di Cosa Nostra, accusato di innumerevoli omicidi. Compreso quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, rapito a 13 anni, ucciso strangolato a 15 e sciolto nell’acido quando era ormai morto.
Brusca continuerà a vivere sotto falsa identità e resterà sottoposto al programma di protezione, ma è ufficialmente un uomo libero. La sua scarcerazione nel 2021 avvenne tra molte polemiche dopo 25 anni dietro alle sbarre. Da allora si è sempre nascosto per il pericolo rappresentato dai suoi ex sodali, vivendo lontano dalla Sicilia sotto un altro nome.
Ecco perché Giovanni Brusca non deve scontare l’ergastolo
La sua collaborazione gli ha permesso di ottenere nel 2000 lo status di collaboratore di giustizia e uno sconto della pena che ha portato a una condanna complessiva a 30 anni di carcere. Ha poi ottenuto altri benefici per buona condotta e la detrazione di 45 giorni per ogni semestre di pena scontata.
Nel corso dei processi a suo carico, l’ex scannacristiani si è più volte scusato pubblicamente con i familiari delle vittime. Ma la sua scarcerazione nel 2021 scatenò numerose polemiche sia politiche sia della società.
Come detto, Brusca è stato sottoposto a 4 anni di libertà vigilata e nel 2022 il Tribunale di Palermo, ritenendolo ancora socialmente pericoloso, gli ha imposto la sorveglianza speciale con obbligo di firma e restrizioni su orari e persone da frequentare.
La notizia non è stata presa bene da Tina Montinaro, vedova di Antonio Montinaro, capo scorta di Giovanni Falcone che morì insieme con il magistrato nella strage di Capaci. Contattata dall’AdnKronos, la donna si è detta “amareggiata”. “Questa non è giustizia per i familiari delle vittime. Lo so che è stata applicata la legge, ma è come se non fosse mai successo niente”.
Con il giudice Falcone e Antonio Montinaro, furono uccisi anche la moglie del primo, Francesca Morvillo e altri due agenti della scorta, Rocco Dicillo e Vito Schifani. E come detto all’inizio, a premere il tasto del radiocomando a distanza che fece esplodere il tritolo piazzato in un canale di scolo sotto l’autostrada, fu proprio Giovanni Brusca.
Tina Montinaro: “I processi della strage di Capaci continuano e Brusca è fuori”
“Sì, è vero, ha iniziato a collaborare con la giustizia, ma non bisogna assolutamente dimenticare che anche i collaboratori sono dei criminali. Non sono diventate persone per bene”, ha aggiunto Tina Montinaro, oggi presidente dell’associazione Quarto Savona Quindi, che prende il nome dall’auto di scorta del marito Antonio.
“Noi familiari delle vittime in questo modo non ci sentiamo rispettati“. Montinaro lancia un appello alla società civile, affinché “si faccia sentire. Non è solo un problema dei familiari delle vittima di mafia, ma riguarda tutti quanti. Insomma, mi aspetto una presa di posizione forte da tutti i palermitani”.
Tina Montinaro ricorda che la ricostruzione di quanto accadde il 23 maggio del 1992 non si conosce ancora oggi “tutta la verità. I processi continuano e Brusca è fuori“.