Benedetto XVI, la vita del grande teologo sullo sfondo della storia

Per anni è stato l’uomo che ha sorretto in silenzio la Chiesa. Storia e significato del suo pontificato.

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(Ansa)

Con dolore informo che il Papa Emerito, Benedetto XVI, è deceduto oggi alle ore 9:34, nel Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano. Non appena possibile seguiranno ulteriori informazioni”. Sono le parole, telegrafiche, con cui il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni ha reso noto il decesso del Pontefice emerito, dopo le voci che da giorni si alternavano preannunciandone in qualche modo la salita al cielo.

Mercoledì Papa Francesco aveva chiesto una “preghiera speciale” per Ratzinger. O meglio, per colui che “nel silenzio sta sostenendo la Chiesa”, aveva specificato Bergoglio. Definizione quantomai impeccabile e calzante. Negli ultimi anni quella di Benedetto XVI è stata infatti la figura  di colui che nel silenzio sorregge la Chiesa con la preghiera. Figura, è bene sottolinearlo a scanso di equivoci, imponente e del tutto fondamentale per la comprensione della storia contemporanea, e anche moderna, della Chiesa e dell’umanità tutta.

Joseph Ratzinger, la storia che passa per la sua figura

A partire da quell’11 febbraio 2013, giorno dell’annuncio del “Gran rifiuto”, parafrasando e traslando le parole dedicate dal Sommo Poeta, Dante Alighieri, a Celestino V, Ratzinger ha infatti cambiato radicalmente la condizione della Chiesa, aprendo un varco fino a quel momento inedito per il cattolicesimo, segnato dalla presenza di due “uomini vestiti di bianco”. Il Papa emerito, appunto, e quello regnante. E anche qui le interpretazioni, le diatribe, le dietrologie e le profezie si sono succedute e sovrapposte una dopo l’altra, incessantemente.

A partire da quell’immagine che emergeva nientemeno che dalla profezia di Fatima, da quel Terzo segreto svelato alle soglie del nuovo millennio da Ratzinger stesso. Per sfociare poi, in un secondo momento, nella questione più squisitamente istituzionale, portata in auge negli ultimi anni dagli stessi ambienti vaticani, da vescovi e cardinali ormai intenzionati a vederci chiaro una volta per tutte davanti agli innumerevoli polveroni sollevati dai media.

L’anomalia dei “due Papi” in Vaticano

Che fare di “due Pontefici”, come interpretare l’anomalo contesto, quale peso dare alle parole di Benedetto XVI? Visto e considerato come ogni sua considerazione, negli ultimi anni, si è presentata ogni qualvolta come un vero e proprio terremoto, capace di animare e rendere irrequieti gli animi tanto dei “progressisti” quanto dei “tradizionalisti”, i due “partiti” della Chiesa. Oltre che dei giornalisti “di inchiesta” ma anche di quelli “da strapazzo”, capaci a buon bisogno solamente di alimentare confusioni interpretative o scandali da quattro soldi, senza mai volere andare a fondo con serietà e onestà intellettuale nelle vicende della Chiesa, tagliate invece un tanto al chilo per il pubblico da operetta nei programmi in prima serata.

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Al netto delle considerazioni più contingenti, quella sulla compresenza dei due Papi in Vaticano, oggetto persino di sceneggiati e serie tv mainstream, è stata una domanda che, senza dubbio, ha contornato non poco la figura e il ruolo del Papa emerito, e a cui ancora non è stata data ancora risposta. Né forse verrà mai data, a meno che si decidesse di regolare una simile situazione dopo la morte di Ratzinger, ipotesi non del tutto escludibile visto le dichiarazioni di Bergoglio sulla possibilità, anche da parte sua, di operare una rinuncia al Pontificato.

La produzione scritta del teologo

Estraniandosi dal contesto più marcatamente legato all’attualità, tuttavia, si staglia imponente sullo sfondo la figura di un teologo, oltre che di un Pontefice, di una caratura unica per la storia della Chiesa moderna. Che ha segnato con il Magistero, con i suoi documenti, i suoi interventi e i suoi gesti un vero e proprio spartiacque generazionale e forse anche epocale.

Dalle sue encicliche più note, come Deus caritas est (Dio è Amore), il primo documento pubblicato nel dicembre 2005, alla Caritas in Veritate, la sua “enciclica sociale” promulgata nel 2009, passando per i suoi interventi pubblici (memorabile il “Discorso di Ratisbona”, la lectio magistralis tenuta presso l’Università della città tedesca che fece infuriare il mondo islamico, in cui Benedetto XVI, approfondendo il tema dei rapporti tra fede e ragione, fece luce sul grave vulnus della violenza nel mondo islamico, come poi continuò a fare dopo di lui Papa Francesco suscitando tuttavia reazioni incredibilmente opposte) fino ad arrivare alla sua produzione saggistica, culminata con la trilogia su Gesù di Nazareth.

Poi, le sue “Ultime conversazioni”, libro-intervista con Peter Seewald, giornalista tedesco ex comunista convertito al cattolicesimo grazie anche alla predicazione ratzingeriana, testo in cui emergono le motivazioni delle dimissioni storiche, secondo la versione diffusa dal diretto interessato, volta perciò a dare un colpo di assestamento ad ogni dietrologia. Per quanto, inverosimilmente, non sufficiente a placare ogni ricostruzione ardita e spericolata.

Le motivazioni dietro il gesto della rinuncia al Pontificato

Ratzinger lo spiega infatti bene a domanda diretta: la causa delle sue dimissioni fu da ricercare nella sua incapacità fisica ad andare avanti, e quindi da un senso di responsabilità verso la Barca di Pietro in tempesta, una condizione vissuta dal Pontefice in prima persona. Anche per via dei tanti scandali che si susseguivano in quegli anni, complice certamente la scarsa simpatia dei media verso quel Papa scomodo, quel “Pastore tedesco” come si è arrivati a definirlo, in maniera incredibilmente sprezzante, ciechi di fronte alla mitezza d’animo e di carattere che invece caratterizzano in modo inequivocabile il profilo umano del teologo tedesco.

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Le immagini che precedono il giorno delle “dimissioni” di Benedetto XVI (Ansa)

D’altronde, si sa, non si può piacere a Dio e al mondo, la vita di Cristo lo dimostra e lo testimonia con grande chiarezza, e a Ratzinger non interessava di certo l’approvazione del secondo. Se c’è infatti una cifra caratteristica del suo Pontificato è proprio quella di avere puntato a testimoniare la Verità senza alcun compromesso, in maniera radicale ed estrema, con la sua lotta senza quartiere al relativismo etico, poi la scelte di prendere di petto il problema della pedofilia nella Chiesa, fino a optare per la palma del “martirio”, quella dell’estremo gesto, il più pesante, le dimissioni che lo accompagneranno per secoli nella storia del cattolicesimo e dell’umanità intera.

Una vita di preghiera dopo le dimissioni, da “Cooperatores Veritatis”

Dall’altro lato, però, Ratzinger ha vissuto in Vaticano e ha continuato a cooperare per la verità, nella dimensione cioè di “Cooperatores Veritatis” – come ebbe a definirla l’allora prefetto della Casa Pontifica Mons. Genswein, presentando un libro in cui si ripercorreva con dovizia di dettagli tanto la caduta quanto l’elezione di Ratzinger, e i tentativi di soggiogarla da parte di quella che venne definita la “Mafia di San Gallo” – nella preghiera e nel nascondimento. In una vita monastica ma salda nella fede, come accade ogni giorno per i tanti fedeli che compongono il popolo di Dio che ogni giorno si conforma alla volontà del Signore e non a quella dei potenti della terra.

Lui, Benedetto XVI, ha vissuto in questo modo la sua personale “Opzione Benedetto”, come definita dal giornalista americano Rod Dreher prendendo però a riferimento non tanto, o non solo, il teologo tedesco, ma il santo da Norcia, colui che fondando il monachesimo occidentale rifondò la Chiesa stessa salvandola già allora dalla corruzione e dalla decadenza che la stava infestando.

Si rifugiò nelle campagne, San Benedetto da Norcia, nella provincia italiana, per dare nuova linfa vitale alla Chiesa medievale e all’umanità intera, proprio come Ratzinger scelse di stare nella periferia del villaggio globale dei media contemporanei, quella degli aggiornamenti costanti e dei riflettori sempre accesi, di un Grande Fratello insaziabile che tutto mastica e poi spunta nel grande calderone della società digitale.

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(Ansa)

Proprio per tutti questi aspetti, e molti altri, il segno di Ratzinger sull’umanità è oggi più forte che mai, ed è destinato a crescere e a diffondersi a dismisura, proprio come per i grandi della storia, i santi, che da un piccolo granello, da un “chicco di grano”, sono capaci  di produrre “molto frutto”, come in Giovanni 12,24-26. Per la semplice ragione che, scrive l’evangelista, “chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”. Per questo Ratzinger ha testimoniato senza distinzioni la verità, ed è per questo che verrà ricordato. Come un uomo che ci parla non del passato, ma del tempo che verrà.

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