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Attentato in Turchia, l’esperto: “Troppe zone d’ombra. Ecco i tanti dubbi”

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Paolo Colantoni

Marco Di Liddo, responsabile del CeSi, sull’attentato di Istanbul: “Esistono troppi dubbi. E va analizzato il ruolo di Erdogan”

L’attentato che ha devastato il centro di Istanbul continua a far discutere e a lasciarsi alle spalle strascichi polemici. Il governo turco ha arrestato una donna, ritenendola responsabile dell’accaduto. Si tratta di una componente del gruppo Pkk. Ma la situazione resta ancora nebulosa, come spiega ai nostri microfono Marco Di Liddo, Responsabile del Centro Studi Internazionale.

“Partiamo da un presupposto: non esiste nessun clima del terrore. Penso alla stagione che il bacino del mediterraneo allargato, ovvero Europa, Medio Oriente e Nord Africa, ha vissuto fino alla fase pre pandemica. Ci sono diversi motivi che mi fanno escludere una stagione molto calda. Il primo, ma più importante è il clamore mediatico. Ora non c’è un’attenzione mainstream all’argomento del terrorismo, come c’era prima della pandemia: ci sono altre cose che vengono prima, come la guerra in Ucraina, ma anche i rapporti tra Stati Uniti e Cina, l’inflazione a livello globale. Tutte questioni che preoccupano più del terrorismo”.

Ma l’attenzione mediatica c’è stata.
“Ha fatto rumore, perchè Istanbul è l’ultima delle città europee o la prima delle città medio orientali, a seconda della prospettiva con cui si analizza. E poi perchè ad Istanbul era da tanto tempo che non si registravano attentati. Ma ripeto, non si tratta di nulla che possa far emergere nuovamente un clima di terrore”.

Perchè c’è stato questo attentato?
“Quando si parla di attentati in Turchia c’è bisogno di una prudenza maggiore rispetto a quando avvengono in altre parti del mondo. In Turchia esistono più gruppi con orientamenti ideologici ed agende operative molto diverse che agiscono sullo stesso territorio: pensiamo al Pkk, o ai Falchi della Libertà del Kurdistan. E poi va aggiunto il terrorismo di matrice Jihadista, come l’Isis o quello di estrema sinistra. In questo attentato però c’è un aspetto particolare”.

Quale?
“Di fronte alle accuse del Governo, che ha parlato di atto perpetrato dal Pkk, quest’ultimo ha smentito qualsiasi coinvolgimento. E il Pkk è un gruppo in cui non esistono fazioni concorrenti. E non avrebbero interesse a smentire un attentato fatto. Se fai un attentato ad Istanbul lo devi rivendicare immediatamente: l’impatto mediatico è metà, se non oltre, lo scopo dell’attentato stesso. Questa smentita fa emergere tanti interrogativi e zone d’ombra”.

Quali ipotesi si possono fare?
“Una tira in ballo i servizi segreti turchi, che adopererebbero una sorta di strategia della tensione. Questa è una tesi che si riferisce soprattutto ai Falchi della Libertà del Kurdistan, un gruppo che, nonostante non abbia il bacino e le reti del Pkk, a volte è protagonista di alcuni attentati, solitamente in occasione di eventi importanti. Le opposizioni turche dicono che i Falchi della Libertà del Kurdistan sono un gruppo diretto dai servizi segreti turchi, che permettono loro di fare attentati, quando c’è bisogno di serrare i ranghi della società civile. La Turchia ha iniziato il processo di avvicinamento alle elezioni e vive una fase critica: il potere di Erdogan non è così inscalfibile come qualche anno fa. Secondo gli oppositori ogni volta che la situazione si fa complessa, Erdogan ricorre alla strategia della tensione.  Ma non è l’unica possibilità: ripeto, quando si parla di attentati in Turchia ogni pista va seguita”.

Esistono altre ombre?
“La ricostruzione del quadro è strana. Si tratta di un’attentatrice legata alle milizie curde siriane: ma sono un gruppo che ha un’agenda regionale e soprattutto si sogna di andare a colpire Istanbul: non ne avrebbe neanche le possibilità. Quando ci sono queste spiegazioni strane, bisogna essere sospettosi e critici. Anche perchè sappiamo che il tasto della questione curda per Erdogan è un tasto dolente”.

Che ripercussioni possono esserci a livello internazionale?
“Bisogna vedere la risposta del governo turco. Se sarà una reazione interna, per motivare una stretta repressiva ai danni dei curdi o se si proietterà in un cambio di politica verso il nord della Siria. Onestamente non so quanto l’Europa possa essere interessata ad una situazione di questo genere avendo ancora tante cose da risolvere sul fronte ucraino”.

 

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Paolo Colantoni