Caso Emanuela Orlandi, il fratello: “E’ svolta ma ora basta con l’anonimato”

A 39 anni dalla scomparsa della ragazza, la famiglia  fa capire che ci possono essere ulteriori elementi per arrivare alla verità

E’ uno dei casi più conosciuti e più misteriosi del nostro paese. A 39 anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, una bambina che all’epoca aveva 15 anni, studiava in Vaticano e che il 22 giugno del 1983 è svanita nel nulla e di lei non si è mai saputo che fine avesse fatto, il fratello Pietro Orlandi, durante un sit-in organizzato per commemorare la sorella Emanuela ha rivelato: “Ora siamo ad un punto di svolta. Io e l’avvocato abbiamo elementi in mano che possono aiutarci con certezza a capire che cosa è successo. Però ci serve la collaborazione di persone anche che lavorano in Vaticano, che sono a conoscenza di questo fatto, che si liberino la coscienza e che abbiamo il coraggio di non rimanere nell’anonimato. Abbiamo bisogno di loro“.

il caso
Il manifesto storico fatto fare dalla famiglia Orlandi per cercare Emanuela (foto Ansa)

Il fratello Pietro Orlandi annuncia elementi decisivi per la soluzione del caso sulla scomparsa della giovane. Ed è quello che spera non solo la famiglia ma tante persone. “Il Vaticano non vuole ascoltarci, nonostante Papa Francesco mi abbia risposto e in una lettera mi abbia esortato a condividere gli elementi a nostra conoscenza con il Vaticano“, ribadisce Pietro. Che anticipa alcuni degli elementi che potrebbero essere decisivi per comprendere cosa è accaduto alla sorella quel 22 giugno del 1983 e lo aggiunge all’Adnkronos. “Uno di questi elementi consiste in alcuni messaggi Whatsapp tra due persone vicine a Papa Francesco su telefoni riservati della Santa Sede -rivela Orlandiche parlano di movimenti legati a questa vicenda, di documentazioni su Emanuela, e dicono che ne era al corrente Papa Francesco e il cardinal Abril, che all’epoca era il presidente della commissione cardinalizia dello Ior“.

“Deve venire fuori la verità, la Chiesa un giorno dovrà chiedere scusa per quanto è successo”

Il sit-in
Pietro Orlandi in piazza del Sant’Uffizio durante sit-in per Emanuela Orlandi (Foto Ansa)

Il fratello Pietro non si dà pace e insieme ai legali sono anni che martella e non lascia stare la storia della scomparsa della sorella. “Gli ho scritto un sacco di messaggi, ma non risponde“, dice. E aggiunge: “Questa volta potrebbe essere quella giusta. Io la speranza la ho da sempre, ogni volta l’illusione si è trasformata in disillusione ma io non demordo, perché non c’è nessun potere che possa fermare la verità, anche se resta una sola persona a volerla e a pretenderla. E siccome in questo momento qui ce ne sono tante di persone, questo mi fa un immenso piacere e mi da speranza perché moltissime di queste nemmeno la conoscevano Emanuela. E dopo 39 anni, sono tutte qua“.

Un giorno la Chiesa dovrà chiedere scusa, nessun potere, per quanto forte, potrà mai fermare la verità, anche se resterà solo una persona a difenderla“, ha poi detto Pietro Orlandi intervenendo al sit in a Roma a 39 anni dal rapimento della sorella. “Non ho le prove di cosa hanno fatto, ma chi continua a nascondere le cose per 39 anni è complice, così come quella manovalanza che quel giorno ha preso Emanuela – ha aggiunto -. Sta a loro fare un passo avanti, noi più che dire ‘abbiamo prove, convocateci’ che possiamo fare. Ma non ci convocano”. “Sono convinto che Emanuela è stata usata come un oggetto di ricatto, che nessuno deve conoscere, un ricatto che è ancora in atto nei confronti di qualcuno. Non possono permettersi che esca la verità perché crollerebbe tutto – ha concluso Pietro Orlandi -. Ma gli ha detto male, perché siamo ancora qui e non mi sposterò”.

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