Referendum e astensione: quale futuro è possibile per questo strumento importante di democrazia diretta che tante volte ha cambiato la vita degli italiani.
Il quorum non è mai stato così lontano: l’affluenza alle urne si è fermata al 30,58%, decretando il fallimento della campagna del centrosinistra, ma anche confermando ancora una volta un elemento ricorrente nelle tornate elettorali: l’astensionismo.
I cinque quesiti non sono validi perché non è stato il 50%+1 dei votanti, ma dai dati di Eligendo emerge che ad esprimersi sono stati in maggioranza i sì. L’89% degli italiani infatti, ha dato il via libera al reintegro dai licenziamenti illegittimi, l’87,62% alle indennità per i licenziamenti illegittimi.
E ancora, l’89,04% ha detto sì alle tutele dei contratti a termine, l’87,31% al quesito in tema di responsabilità delle ditte appaltatrici in caso di infortuni sul lavoro. Infine, il 65,30% dei cittadini ha dato il via libera alle regole proposte dal quesito in materia di cittadinanza.
In parole povere, chi ha votato ha detto sì. Ma poco più del 30% non è sufficiente ad applicare le abrogazioni proposte. E non è certo la prima volta questa, che in Italia non si raggiunge il quorum. Dal 1997 al 2009 infatti, nessuna consultazione ha mai superato la soglia del 50%. Fino al 2011, quando i quesiti su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento, hanno registrato un’affluenza del 54,8%.
Acqua pubblica simile a lavoro e cittadinanza: ecco perché stavolta il quorum non è stato raggiunto
All’epoca “era un momento di crisi generale e molti avevano sentito il dovere morale di mobilitarsi per l’acqua pubblica”. Così, a Notizie.com, Luca Verzichelli, presidente della Società italiana di Scienze politiche, secondo il quale, dal punto di vista dei temi quella consultazione era vicina ai cittadini proprio come quelli dell’8-9 giugno, riguardanti lavoro e cittadinanza. Per questo è stato “paradossale che siano stati percepiti meno”.
Tuttavia non è una novità in Italia: “Non dimentichiamo che da più di 25 anni, dopo il successo degli anni Novanta, meno di un terzo degli elettori si sente interessato a qualsiasi tema del referendum”. Non sorprende dunque, che neanche stavolta il quorum sia stato raggiunto.
E anzi, “si potrebbe dire che l’obiettivo minimo di qualche esponente dell’opposizione di mobilitare un numero superiore ai 12 milioni di elettori per superare i voti presi da Giorgia Meloni nel 2022″ possa dirsi raggiunto. Del resto, “ognuno si accontenta di quello che vuole”, commenta il politologo. Il numero dei partecipanti nel momento in cui si scrive (secondo i dati della piattaforma Eligendo) è pari a poco più di 15 milioni. E questo numero potrebbe anche “essere considerato un parziale risveglio”.
Insieme con Luca Verzichelli abbiamo cercato di capire per quale ragione il referendum dell’8-9 giugno e altri prima non hanno avuto successo. E se esista un futuro possibile per questo strumento di democrazia diretta che tante volte ha permesso agli italiani di decidere del proprio futuro.
Dai proponenti “lontani” dai cittadini alla complessità dei quesiti: cosa non va nei referendum abrogativi in Italia
Il punto, secondo l’esperto è che “non esistono più i momenti fondamentali di divisione del referendum, questo dovrebbe far riflettere: c’è bisogno di movimenti nuovi rispetto ai partiti e ai sindacati. Questi infatti sono percepiti lontani dalla popolazione”.
La “colpa” però, per Verzichelli è anche dei politici stessi. Ad esempio “le chiacchiere sulla riforma della giustizia, sicuramente sono importanti, ma poi non si capisce in che cosa risolverebbero la vita ai cittadini”. Allo stesso modo, la riforma del premierato, “non è chiaro se convinca addirittura i proponenti stessi, visto che fanno fatica a spiegarla”.
Un modo per salvare questo strumento, secondo il politologo potrebbe essere “riprendere in mano il pacchetto Renzi-Boschi“, ovvero la proposta “di aumentare il numero di firme raccolte e abbassare il quorum al 40%. Questo potrebbe essere un modo per rilanciare il referendum. Così com’è, non serve più perché le persone votano molto meno. Il referendum si può salvare lavorando tutti insieme e toccando la norma con un po’ di buonsenso”.
La terza causa del fallimento di questo strumento sono i quesiti stessi: “Gli attori politici, i partiti, i sindacati, gli analisti che organizzano e articolano le domande, dovrebbero ripartire da proposte più semplici e immediatamente comunicabili”.