Referendum 8-9 giugno, perché Meloni si asterrà: tutte le ragioni di chi non voterà

Referendum 8-9 giugno: la premier Meloni si asterrà. Tutte le ragioni del no (o dell’astensione) secondo i partiti di maggioranza.

Sul referendum dell’8 e 9 giugno il dibattito politico si è infuocato tra la maggioranza e le opposizioni. Queste ultime sono a favore del sì ai 5 quesiti e nelle ultime settimane hanno portato avanti la loro campagna nelle piazze per informare i cittadini sui contenuti dei quattro quesiti riguardanti il lavoro e il quinto sulla cittadinanza.

La premier Giorgia Meloni
Referendum 8-9 giugno, perché Meloni si asterrà: tutte le ragioni di chi non voterà (Ansa Foto) – notizie.com

In queste settimane i partiti di maggioranza hanno fatto scudo a favore dell’astensione, per impedire che si raggiunga il quorum. L’ultima rappresentante del governo è stata Giorgia Meloni, che ha rivendicato il suo diritto al non voto durante la seconda edizione dell’evento Il giorno de La Verità, in Palazzo Brancaccio a Roma.

Vado al seggio perché sono presidente del Consiglio ed è giusto dare un segnale di rispetto nei confronti delle urne e dell’istituto referendario”, queste le parole della premier, che ha poi aggiunto: “Quando non si condividono i referendum, c’è anche l’opzione dell’astensione”. 

Malagola (FdI) a Notizie.com: “Su lavoro e cittadinanza decide il Parlamento”

Farò come Giorgia Meloni: mi recherò alle urne ma non ritirerò le schede”. A parlare è Lorenzo Malagola, deputato di Fratelli d’Italia e segretario della commissione Lavoro alla Camera. “Parteciperà alla tornata referendaria ma non intendo contribuire al raggiungimento del quorum. Perché il referendum non è uno strumento adeguato per rispondere al nostro mercato del lavoro”

Contattato da Notizie.com, Malagola ha spiegato punto per punto per le ragioni per cui il partito di Giorgia Meloni consiglia di astenersi dal voto del referendum dell’8 e 9 giugno. Il primo motivo è che il referendum non va usato come “strumento per aumentare l’occupazione e lottare contro la precarietà. Per fare questo servono riforme strutturali che spettano al Parlamento”. 

Il deputato di Fratelli d'Italia Lorenzo Malagola in una foto sui social
Malagola (FdI) a Notizie.com: “Su lavoro e cittadinanza decide il Parlamento” (Foto di Facebook) – notizie.com

E passi in avanti, spiega il deputato “sono già stati fatti dal governo Meloni. Ad esempio, il taglio strutturale del cuneo fiscale, che ha già portato risultati. L’Istat infatti, conferma un’occupazione record, soprattutto per i giovani e le donne: un milione di posti in più in due anni”. 

Ricordiamo che i cittadini sono chiamati alle urne per decidere su referendum abrogativi, che intendono quindi cancellare una legge o parte di essa. Le ragioni del no (o dell’astensione) punto per punto, secondo il meloniano Malagola. Qui trovate tutti i quesiti del referendum spiegati punto per punto.

“Senza il Jobs Act si tornerebbe alla Fornero”

Il primo quesito propone di eliminare uno dei decreti del Jobs Act che riguarda i contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti. Secondo il deputato, “se venisse abrogato il Jobs Act, si tornerebbe alla legge Fornero, che garantisce meno tutele per i lavoratori. Ad esempio, sono solo 24 le mensilità di indennità in caso di licenziamento, contro le 36 garantite dal Jobs Act”.

Licenziamenti illegittimi: “Le aziende rischierebbero di fallire”

Il secondo quesito riguarda i licenziamenti illegittimi da parte delle piccole imprese e propone di abrogare la parte della legge che riguarda il limite massimo di sei mesi di indennizzo. Malagola ritiene che “cancellare questo limite non garantisce ai lavoratori la possibilità di ottenere importi superiori. Ma si dà pieno mandato al giudice di definire il quantum dell’indennizzo. Questo provocherebbe un’eterogeneità pericolosa in tutta Italia, perché a seconda del Tribunale si avrebbero indennità differenti. Inoltre, si corre il rischio – considerata la piccola dimensione di queste aziende – che falliscano nel caso di richieste di risarcimenti abnormi”. 

Precariato? “Il governo lo sta già riducendo”

Il terzo quesito riguarda i contratti di lavoro e punta a ridurre il precariato. Per Lorenzo Malagola quest’ultimo “non si elimina con il referendum. Le rilevazioni dell’Istat dimostrano come proprio le riforme strutturali del governo stiano riducendo il precariato. E mi sembra che, soprattutto su questo quesito, si stia giocando una partita interna alla sinistra. C’è una battaglia tra massimalisti e riformisti che rischia di scaricarsi sugli italiani”. 

Catena degli appalti: “Si rischia il blocco nei prossimi anni”

Il quarto quesito è anche l’ultimo sul tema del lavoro. Punta ad aumentare le responsabilità e i controlli nella catena degli appalti per ridurre il numero dei morti sul lavoro. Per il deputato di FdI però, anche su questo tema il governo sta già operando: “Nel decreto del Primo Maggio sono stati stanziati altri 650 milioni per finanziare programmi di formazione e prevenzione in ambito di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”.

Cittadino sta votando
Catena degli appalti: “Si rischia il blocco nei prossimi anni” – notizie.com

“Anche la Cisl è d’accordo con noi sul fatto che la normativa contrattuale già prevede la responsabilità dell’azienda appaltante – aggiunge Malagola a Notizie.com – Non vorremmo che con il sì a questo quesito venga scaricata tutta la responsabilità su di essa. Questo non solo sarebbe un’ingiustizia, ma rischierebbe anche di bloccare gli appalti nei prossimi anni, perché spaventerebbe eccessivamente le aziende”. 

Cittadinanza: “Dieci anni in tendenza con gli altri Paesi”

L’ultimo quesito del referendum del 8-9 giugno riguarda la cittadinanza. Chiede di abrogare una parte della legge del 1992, per dimezzare gli anni di residenza continuativa in Italia del migrante da 10 a 5. L’abrogazione è parziale, perché il quesito lascia invariati i requisiti del reddito, della lingua, della fedina penale pulita e di essere in regola con le tasse.

Lorenzo Malagola è contrario anche al quinto quesito: “Scendere da dieci a cinque anni è in controtendenza rispetto ad altri Paesi, ad esempio il Regno Unito di Keir Starmer, dove esiste una forte immigrazione. Dieci anni a nostro avviso rappresentano il tempo necessario perché una persona maturi la convinzione di fare un passo importante come la cittadinanza”. 

Il deputato ricorda infine, che proposte in tema di cittadinanza sono già all’attenzione del governo, con la proposta di Forza Italia sullo Ius Sanguinis, approvata a fine marzo dal Consiglio dei ministri.Per noi della maggioranza non è un tema tabù. Se ne può parlare, ma non è un referendum la scelta adeguata per fare modifiche. La proposta di Forza Italia poi, in realtà non prevede il dimezzamento del tempo per diventare cittadini. Intende infatti valorizzare un percorso scolastico per ottenere la cittadinanza”. 

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