“E se ad essere uccisi fossero tre uomini al giorno?”: 25 novembre 2025, denunce e braccialetti non hanno mai funzionato

Una testimonianza di violenza e di mancata protezione riaccende i riflettori su un sistema che continua a incepparsi. L’Italia del 25 novembre resta prigioniera di ritardi strutturali e protocolli disattesi.

Provincia di Roma, due anni fa. Una donna con buoni strumenti personali, abituata a intercettare i segnali di violenza negli altri, ma meno con sé stessa incontra in modo del tutto casuale, tramite la classica catena di amici, un uomo.

25 novembre, Giornata contro violenza sulle donne
“E se ad essere uccisi fossero tre uomini al giorno?”: 25 novembre 2025, denunce e braccialetti non hanno mai funzionato – Notizie.com

Dopo qualche tempo, lui inizia ad avere atteggiamenti insoliti: chiede di vedere il telefono di lavoro, insinua che lei non fosse davvero dove diceva di essere, critica le sue amiche. Il tutto senza che tra loro esistesse una relazione definita. Una semplice conoscenza che però lui aveva trasformato in una relazione strutturata e tossica.

Quando lei è torna da un viaggio di lavoro, si trova di fronte a continue richieste di controllo: agenda, telefono, videochiamate dall’albergo. Lei prova a chiarire, in modo pacifico, dicendogli che probabilmente si erano fraintesi e che le loro intenzioni erano molto diverse. Si accende la miccia. Il chiarimento diventa un pretesto per un’aggressione fisica, per strada, in un luogo pubblico, fuori da un ristorante.

Lo trova di nuovo lì, sotto casa, come se nulla fosse

Nonostante fossero presenti diverse persone, nessuno interviene. In quel momento passa una volante dei carabinieri, una fortuna. Poco dopo arriva anche l’ambulanza. Lui nega tutto, “non è come sembra”. Lei sale in ambulanza perché non riesce a stare in piedi: i danni fisici sono importanti. La denuncia parte in automatico. Dopo il rilascio, la sorella va a prenderla perché lei non può guidare. Lo trova di nuovo lì, sotto casa, come se nulla fosse.

A quel chiede subito aiuto. E la prima risposta che ha riceve è che avrebbe dovuto cambiare casa. Ci sono testimonianze di chi era con lei, di chi aveva sentito al telefono l’uomo minacciarla, di chi aveva assistito. Alcuni avevano ricevuto persino messaggi intimidatori da parte di quest’uomo: imponeva loro di non uscire con lei, le proibiva di andare in giro, di vestirsi in un certo modo. Una cornice di minacce diffuse.

25 novembre, Giornata contro la violenza sulle donne
Lo trova di nuovo lì, sotto casa, come se nulla fosse – Notizie.com

Nonostante questo, lui continua a molestarla. C’è stata un’udienza a maggio: vengono acquisite le prove e si arriva al rinvio al giudizio, fissato per settembre di quest’anno. Ma la nuova udienza è rinviata ancora: appuntamento a ottobre 2026. L’ultima volta che chiama i carabinieri, la risposta è: “Non c’è un divieto di avvicinamento, non c’è un braccialetto elettronico. Non è un caso grave”. Lei risponde: “Una persona che ti manda in ospedale una volta, può farlo due volte“.

La violenza le ha causato anche complicazioni fisiche: l’uomo le aveva colpito la gabbia toracica, provocandole una compressione con dolori invalidanti. Non riusciva a stare né seduta, né sdraiata, né in piedi. Non poteva guidare e questo l’ha penalizzata anche lavorativamente. E, nonostante tutto, nessuna misura cautelare. Nessun divieto di avvicinamento. Il giorno dell’udienza incrocia il padre dell’uomo, che la insulta. Nonostante dodici denunce, testimonianze, prove, un’aggressione fisica, minacce, un ricovero, tuttora non ci sono misure restrittive.

“Che facciamo? Aspettiamo che mi ammazzi?”

Quando lei chiede: “Che facciamo? Aspettiamo che mi ammazzi?”, nessuno sa darle una risposta. L’unica tutela che ha, attualmente, è una carabiniera che le ha dato il proprio numero privato e che resta in contatto con lei durante quelle ore in cui lavora in zone vicine alla casa dell’uomo. Una forma di protezione umana, ma non istituzionale. Una via preferenziale che non può esistere per tutti.

Abbiamo raccolto questa testimonianza in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Secondo i dati Istat più recenti una donna italiana su tre ha subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita e a commettere gli stupri e gli abusi sono soprattutto i partner. E per l’Oms quasi 1 donna su 3, ovvero 840 milioni a livello globale, ha subito violenza da parte del partner o violenza sessuale nel corso della propria vita. Una cifra che è rimasta pressoché invariata dal 2000.

Continuiamo a leggere casi di braccialetti tolti o rotti, persone che violano le misure e poi compiono nuovi femminicidi. – ha detto, in esclusiva per Notizie.com, Flavia Munafò, criminologa, direttrice dello sportello di ascolto e prevenzione Socio Donna di Roma, presidente di Sia (Sociologi italiani associati)Il braccialetto elettronico sta perdendo credibilità: non è più un deterrente. Ottenere un braccialetto è difficilissimo.

La verità è che, se le misure sono deboli, se vengono applicate male o tardi, non possiamo sorprenderci se continuiamo a contare tre femminicidi al giorno. Cosa dobbiamo fare nell’immediato? Provare a immaginare cosa accadrebbe nella percezione collettiva se, invece di tre donne al giorno, fossero tre uomini a essere uccisi.

E poi continuare a lavorare con i ragazzi, nelle scuole, nelle famiglie. Perché tanta violenza si nasconde dentro le case. Nel 2025 ho visto un numero impressionante di richieste di aiuto da parte di adolescenti che vivono situazioni difficili. Se intercettati per tempo, quei pensieri possono essere trasformati: da ombre a risorse. Ma serve ascolto, presenza, continuità”.

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