Un sub trova in mare il corpo di Najoua, mentre il piccolo Elia viene scoperto senza vita in casa: gli investigatori puntano sull’omicidio-suicidio. Il criminologo: “Fragilità, isolamento e segnali ignorati”.
Tutto comincia nella tarda serata di ieri tra Torre dell’Orso e Calimera, non lontano da Lecce. Un sub scopre in mare il cadavere di una donna, mentre in un appartamento giace senza vita il corpo di un bambino. 
Una tragedia assurda quella che viene dal Salento, dove si ipotizza l’omicidio-suicidio di Najoua Minnito ed Elia Perrone, madre e figlio di 35 e 8 anni. La Procura della Repubblica di Lecce sta approfondendo la vicenda che sembra sempre più sterzare verso il figlicidio. Il secondo in Italia nel giro di pochi giorni dopo il caso di Muggia, in provincia di Trieste, dove una donna di origini ucraine di 55 anni ha tagliato la gola al figlio di 9 anni.
“I processi psicologici sono complessi e spesso intrecciati con condizioni di disagio psichico, isolamento sociale e dinamiche familiari conflittuali. Riguardano una fragilità psichica e una crisi psicotica, la madre può arrivare a percepire la realtà in modo distorto, perdendo la capacità di vedere il figlio come tale, considerandolo altresì un problema o una minaccia. Depressione e senso di vuoto dove la solitudine e il senso di vuoto generano un dolore psichico accentuando il rischio di gesti estremi.
Isolamento sociale, dove l’assenza di una rete di protezione, amici o attività di supporto, facilitano la chiusura della persona e quindi i possibili rischi. Vendetta e ‘sindrome di Medea’, in alcuni casi l’omicidio del figlio può rappresentare una forma di vendetta verso il partner”. A parlare, in esclusiva per Notizie.com, è Giuseppe Lodeserto, sociologo, criminologo e criminalista, ha lavorato per oltre 40 anni nella polizia di stato, operando presso la sezione polizia giudiziaria della Procura dei Minori.
Il criminologo Lodeserto: “Il figlicidio materno è un fenomeno multifattoriale”
A dare l’allarme in Puglia è stato l’ex marito. Il piccolo presentava alcune ferite sul corpo. Sui fatti indagano i carabinieri. Il cadavere del bambino è stato scoperto nella stanza da letto dell’appartamento di via Montinari, e ieri mattina la 35enne non aveva accompagnato il figlio a scuola. Il sindaco di Calimera Gianluca Tommasi ha parlato di un dolore immenso e difficile da comprendere e della necessità di proteggere e accompagnare i più piccoli con il giusto linguaggio, senza esporli a informazioni o commenti che possano generare ulteriore ansia.
“La letteratura scientifica e la casistica – ci ha spiegato Lodeserto – mostrano la presenza di diversi fattori ricorrenti nei casi di figlicidio da parte della madre. Nella maggior parte dei casi, il figlicidio materno è un fenomeno multifattoriale, la presenza di più fattori aumenta il rischio. Nel caso di Muggia, emergono elementi preoccupanti: il bambino aveva detto agli psicologi che non si sentiva sicuro a stare da solo con la madre. Nel caso di Najoua ed Elia, invece, non sappiamo ancora se ci fossero segnalazioni ai servizi sociali o sanitari“. 
La donna, originaria della provincia di Reggio Calabria, aveva 35 anni e viveva insieme al figlio nell’appartamento. Il padre aveva presentato denuncia ai carabinieri per la scomparsa dell’ex moglie e del figlio. Nelle prossime ore la Procura di Lecce conferirà l’incarico per svolgere le due autopsie. Sulla home page dell’Istituto comprensivo frequentato da Elia è comparso questo messaggio: “Che la forza dell’amore e della vicinanza possa dare conforto in questi giorni così difficili“.
“Vanno anche considerati eventuali segnali comportamentali verso i figli, – ha continuato il criminologo – laddove questi ultimi mostrano segnali di trascuratezza, malnutrizione, scarsa igiene, stato emotivo alterato o regresso; assenze ingiustificate da scuola, frequenti richieste di aiuto da parte del bambino, segnali di paura o disagio verso la madre. In questi casi un intervento tempestivo deve prevedere forme di monitoraggio e ascolto attivo, coinvolgendo le autorità. La segnalazione di più di uno di questi fattori deve essere considerata un campanello d’allarme meritevole di una immediata valutazione”.
“I segnali vengono interpretati come transitori o non pericolosi”
“Il mio posto preferito. Il mare è l’unico luogo che mi trasmette tranquillità e serenità”. Scriveva così postando una foto che ritraeva un tratto di mare, Najoua. Diverse le foto sul profilo social della donna che la ritraggono insieme al figlio. Momenti di spensieratezza e allegria. Ieri, però, il dramma. Alcuni vicini raccontano che nei giorni scorsi, la donna sembrava serena e sempre affettuosa con il figlio.
“I segnali vengono talvolta ignorati – ha dichiarato Giuseppe Lodeserto – per una serie di motivi che riguardano sia i limiti strutturali dei servizi sia eventuali barriere culturali e di comunicazione sia all’interno della famiglia che della comunità. In questi casi emergono i limiti nelle istituzioni dipendono da una sottovalutazione del rischio. I segnali vengono interpretati come transitori o non pericolosi; carico di lavoro e scarsità di risorse: personale insufficiente e spesso sovraccarico che non riesce a cogliere la gravità delle situazioni. 
Non ultimo mancanza di formazione specifica. A questi fattori va anche considerata la reticenza a chiedere aiuto, intesa come difficoltà nell’ammettere il proprio disagio. Il tutto si racchiude in un unico termine: comunicazione inefficace, tra istituzioni e, quindi scarsa cultura della prevenzione. Come già detto, il fenomeno è multifattoriale: con barriere istituzionali, personali e culturali”.
Un mazzo di roselline bianche è stato deposto dal nonno paterno davanti all’abitazione in via Montinari. Il nonno Fernando era visibilmente commosso e non ha voluto parlare con i giornalisti. Brizio Tommasi, lo zio del papà del piccolo Elia, ha parlato di astio tra mio nipote e l’ex moglie. La coppia era separata da due anni, avevano già avuto la sentenza dei giudici di affidamento congiunto. Vivevano in case diverse. Il papà di lei è turco e i genitori abitano in Calabria. Il padre di Elia faceva l’infermiere professionale in un ospedale a Parma. Lì ha incontrato Najoua ed hanno convissuto insieme. Poi hanno avuto il bambino.
Elia è morto per asfissia meccanica
“Il legame – ha affermato il criminologo – è spesso caratterizzato da vissuti di fallimento, isolamento o disperazione, a un gesto estremo e distruttivo trova spiegazione in dinamiche relative a fusionalità e perdita dei confini, depressione, isolamento e senso di fallimento, introiezione dell’aggressività, sindrome di Medea e dinamiche di vendetta. Da un punto di vista criminologico, la transizione dal legame di cura al gesto violento avviene più frequentemente in presenza di situazioni e dinamiche già indicate“.
Stando ai primi riscontri medici, Elia è morto per asfissia meccanica (strangolamento o soffocamento, lo stabilirà l’autopsia), ucciso quasi certamente nel sonno dalla mamma. Sul corpo del piccolo, che indossava il pigiama e si trovava nel letto della camera da letto, dove solitamente dormiva con la mamma, non sono state trovate altre ferite. La mamma, dopo aver ucciso il figlio nella notte tra il 17 ed il 18 novembre, sarebbe salita sulla sua auto e avrebbe raggiunto una vicina località di mare, forse Torre dell’Orso.
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Qui si sarebbe tuffata in acqua e sarebbe morta annegata. Il cadavere è stato recuperato nel tardo pomeriggio di ieri in mare dalla capitaneria di porto all’altezza dei faraglioni di Sant’Andrea. Dalle indagini finora eseguite emergerebbe che la donna ha fatto tutto da sola. “Ritieniti responsabile di qualsiasi cosa capiti a me e ad Elia”, avrebbe detto la donna all’ex compagno. Le parole sono contenute in un esposto del padre del piccolo.
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Il bambino è stato preso da scuola dalla mamma e portato a casa lunedì scorso. Ieri mattina, invece, è andato a prenderlo da scuola il padre, che fa l’infermiere a Casarano, perché questa settimana Elia doveva stare col padre in base alle disposizioni del giudice che ha curato la separazione dei coniugi. Ma il bambino a scuola non era andato. Il padre ha prima cercato di avere notizie del figlio, poi è andato dai carabinieri, dove alle 18 ha denunciato formalmente l’irreperibilità della donna e del figlio.
“Il fenomeno – ha concluso Lodeserto – è estremamente complesso e difficile da prevedere e prevenire senza una profonda conoscenza clinica e relazione d’aiuto. Ovviamente ha una notevole importanza la tempestività e l’integrazione. Tempestività e collaborazione costante tra diversi ambiti oltre al coinvolgimento attivo della famiglia e della comunità. Il riconoscimento precoce dei segnali e la presa in carico immediata possono rompere la catena che potrebbe portare verso il gesto estremo”.





