Quando ha lasciato la piccola Diana da sola in casa, Alessia Pifferi era capace di intendere e di volere: cosa dice la perizia psichiatrica ordinata dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano.
Quando lasciò per sei giorni la figlia Diana di diciotto mesi da sola in casa, Alessia Pifferi era pienamente capace di intendere e di volere. Sono le conclusioni della nuova perizia psichiatrica ordinata dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano su istanza della difesa, nell’ambito del processo di secondo grado per omicidio volontario aggravato.
Le conclusioni della perizia sono state depositate lunedì 25 agosto dallo psichiatra di Brescia Giacomo Francesco Filippini, da Nadia Bolognini, professoressa di Neuropsicologia e Scienze Cognitive dell’Università Bicocca, e da Stefano Benzoni, specialista in Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Gli esperti erano stati incaricati a febbraio dai giudici popolari, guidati dalla presidente Ivana Caputo e la giudice a latere Franca Anelli.
Ai periti era stato chiesto di accertare se Alessia Pifferi, quarant’anni, sia affetta da patologie psichiatriche e “alterazioni clinicamente significative della sfera cognitiva”, che abbiano potuto incidere sulla sua capacità di intendere e di volere quando ha lasciato Diana da sola per stare col compagno. Quella volta fu fatale per la piccola, ma già in due occasioni precedenti la madre era stata via per giorni: una dal 2 al 4 luglio e l’altra dall’8 al’11 dello stesso mese nel 2022.
Alessia Pifferi per i periti è capace di intendere e volere: la sentenza a ottobre
La perizia è durata sei mesi nel carcere di Vigevano ed ha confermato le conclusioni del processo di primo grado, nel quale Alessia Pifferi è stata condannata all’ergastolo. Il prossimo appuntamento è il 24 settembre in Aula, in occasione dell’udienza con la sostituta procuratrice generale di Milano Lucilla Tontodonati. Quel giorno avverrà la discussione degli esperti sulle conclusioni delle analisi. Il 22 ottobre poi, potrebbe arrivare la sentenza del processo di Appello.
L’11 settembre si tornerà invece davanti al gup per il filone bis del caso, a carico dell’avvocata Pontenani, quattro psicologhe e Marco Garbarini, psichiatra e consulente della difesa, su una presunta attività di “manipolazione” per aiutare la donna ad ottenere la perizia in primo grado e sull’ipotesi di un tentativo di indirizzarne l’esito verso un “vizio parziale di mente”.
Un disturbo dall’infanzia che non avrebbe influito sulla capacità di agire di Alessia Pifferi
Secondo i tre esperti, la donna avrebbe un disturbo risalente a quando era bambina, classificabile come immaturità affettiva. Che però non avrebbe influito sulla sua capacità di intendere e di volere. In poche parole, si inquadrerebbe in una specie di poca empatia a livello affettivo da adulta. Come stabilito nel primo grado di giudizio dunque, Pifferi avrebbe consapevolmente lasciato a casa la figlia per sei giorni con latte e acqua, per stare col compagno (che non è il padre di Diana).
Rischia la conferma all’ergastolo
Con questa perizia, la quarantenne rischia la conferma all’ergastolo se non le saranno riconosciute le attenuanti. La difesa ha sempre sostenuto che Alessia Pifferi è affetta da un disturbo cognitivo, contrariamente a quanto affermato dalla sua famiglia. “Se dichiarassero l’incapacità non ci crederei”, aveva infatti commentato fuori dall’Aula, Viviana, sorella dell’imputata e parte civile nel processo insieme con la madre e nonna della bimba.
Le due donne si sono dette soddisfatte della perizia. Anche perché emergerebbe che non ci sia stato alcun comportamento o evento risalente all’infanzia di Alessia Pifferi, che abbia inciso sul suo comportamento futuro. “Si tratta di una persona pienamente consapevole delle proprie azioni, non affetta da alcun disturbo”. Lo ha detto Emanuele De Mitri, avvocato della zia e della nonna di Diana.
Non un vizio di mente, ma una “disconnessione al suo ruolo di mamma“. Per i periti, Alessia Pifferi era consapevole delle conseguenze della scelta di lasciare Diana da sola in casa. La donna infatti sarebbe in grado di interpretare gli stati emotivi degli altri, “di formulare ipotesi”. E “descrivere le interazioni tra sé e gli altri nei termini di causa-effetto”.
Alessia Pifferi ha lamentato l’esposizione mediatica
Sempre dalla perizia emerge che avrebbe “lamentato e recriminato l’esposizione mediatica della propria persona, della morte della figlia, l’atteggiamento della madre e della sorella, mostrando piena consapevolezza del contesto, reazione emotiva adeguata e coerente a quanto lamentato”. Anche le sue competenze linguistiche e la comprensione sarebbero “adeguate al livello socioculturale”. Nonostante il “quoziente intellettivo sia pari a 40, indicatore di un quadro di seria compromissione cognitiva”.
“Attendo la valutazione del prof Pietrini, mio consulente. Dalla lettura si confermano la fragilità intellettiva ed i problemi mnemonici. Anche la assoluta incapacità di simulazione. Le conclusioni verranno valutate dalla Corte”. A parlare è Alessia Pontenani, avvocata di Alessia Pifferi, a commento dell’esito della perizia.