Anas al Sharif è stato ucciso in un raid a Gaza. Per Israele era un terrorista, ma per Al Jazeera e il CPJ era solo un giornalista che svolgeva il suo lavoro. 28 anni, la laurea e la morte del padre.
Si chiamavano Anas al-Sharif, Mohammed Qreiqeh, Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal e Moamen Aliwa. Sono i cinque che si aggiungono alla lista dei quasi 200 giornalisti uccisi nella guerra tra Israele e Hamas secondo Reporter Senza Frontiere.
Lavoravano tutti come reporter e cameraman per Al Jazeera e a dare la notizia della loro morte è stata proprio l’emittente televisiva. Sono stati uccisi in un attacco vicino all’ospedale Al Shifa nella città di Gaza, al nord della Striscia, dall’esercito israeliano.
L’Idf ha confermato l’attacco e ha fatto sapere che l’obiettivo in realtà era solo uno di loro, Anas al Sharif, accusato di far parte di Hamas, definendolo “terrorista” che “si spacciava per giornalista”, come si legge sul profilo X delle forze armate di Tel Aviv, con un’altra informazione: sarebbe stato a “capo di una cellula terroristica all’interno di Hamas”, oltre che responsabili di una serie di attacchi contro i cittadini israeliani.
Il testo postumo di Anas al Sharif: “Non dimenticate Gaza”
In uno dei suoi ultimi post, Anas al Sharif aveva raccontato i bombardamenti di Israele mostrando anche un video degli attacchi su Gaza City. Ma quello che balza maggiormente all’occhio sul profilo X del giornalista, è un testo postumo scritto ad aprile: in caso di morte, chiedeva di “non dimenticare Gaza”.
Sulla vicenda è in corso uno scontro tra Al Jazeera, il Committee to protect journalists (CPJ, Comitato per la protezione dei giornalisti) e il governo Netanyahu. Vediamo perché.
Dal canto suo Al Jazeera ritiene che le prove nelle mani di Israele contro Anas al Sharif fossero infondate e fabbricate ad hoc per giustificarne l’uccisione. Tra queste prove, anche una serie di documenti appartenenti al gruppo palestinese, in cui compare il nome del giornalista. L’emittente tv ha parlato di attacco mirato, un “tentativo disperato di mettere a tacere le voci di Gaza prima della sua occupazione”.
Già in passato Al Jazeera si è scagliata contro Netanyahu, accusando il suo governo di nascondere i crimini di Gaza. Israele accusa invece l’emittente di fare propaganda ad Hamas. A maggio del 2024 Netanyahu aveva deciso di trasmettere Al Jazeera in Israele.
Il CPJ aveva chiesto alla comunità internazionale di proteggere Anas al Sharif
C’è poi il Comitato per la protezione dei giornalisti che a luglio ha accusato Tel Aviv di aver messo su una “campagna diffamatoria” contro Anas al Sharif. “La prassi israeliana di etichettare i giornalisti come attivisti senza fornire prove credibili, solleva seri dubbi sulle sue intenzioni e sul suo rispetto per la libertà di stampa”. Sono le parole di Sara Qudah, direttrice regionale del CPJ, che ha la sede centrale a New York. “I giornalisti sono civili e non devono mai essere presi di mira”.
Anas al Sharif aveva ventinove anni e a quanto pare da tempo la sua incolumità sulla Striscia di Gaza era a rischio, per il suo racconto della guerra tra Israele e Hamas. Proprio il CPJ aveva chiesto alla comunità internazionale di proteggerlo.
È nato nel 1996 e dopo la laurea all’Università di Al-Aqsa in Comunicazione di massa e una specializzazione in radio e tv, ha cominciato a lavorare come volontario all’Al-Shamal Media Network.
Come corrispondente di Al Jazeera, è diventato uno dei volti più importanti nel racconto della guerra a Gaza e nel 2023 si è rifiutato di evacuare il nord, nonostante gli ordini di Israele. Da questo momento in poi, avrebbe ricevuto molte minacce. A dicembre 2023 un attacco aereo israeliano ha colpito la sua casa di famiglia a Jabalia, nel quale il padre è morto perché a causa dei problemi di salute non è riuscito a scappare.