Il dna riscriverà la storia del Mostro di Firenze? Un nuovo elemento potrebbe cambiare tutto

Mostro di Firenze, il padre di Natalino Mele, sopravvissuto al Mostro di Firenze, è Giovanni Vinci, vicino al clan sardo.

Il dna potrebbe riscrivere la storia del Mostro di Firenze, e segnare una possibile svolta nelle indagini sul caso che ha sconvolto la Toscana tra il 1968 e il 1985 con otto duplici omicidi.

Un poliziotto perquisisce la casa di Pacciani dopo la sua morte
Il dna riscriverà la storia del Mostro di Firenze? Un nuovo elemento potrebbe cambiare la storia (Ansa Foto) – notizie.com

Natalino Mele, unico sopravvissuto al primo delitto della serie, avvenuto a Signe nell’estate del 1968, non era il figlio di Stefano Mele, il manovale e marito della vittima Barbara Locci, condannato con l’accusa di aver ucciso la moglie e l’amante Antonio Lo Bianco che erano appartati in auto mentre Natalino era seduto dietro e dormiva.

All’epoca il bambino aveva sei anni e fu risparmiato dalla furia omicida del killer. Il test genetico disposto dalla Procura, ha rivelato che in realtà il padre biologico di Natalino è Giovanni Vinci, fratello maggiore di Francesco e Salvatore, entrambi già noti nell’inchiesta per il coinvolgimento nel cosiddetto clan sardo.

Giovanni Vinci, il vero padre di Natalino Mele, è morto

Giovanni Vinci, pur essendo ritenuto vicino a quest’ultimo, non è mai stato indagato, né ascoltato. I pubblici ministeri titolari del fascicolo Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, tenteranno di far luce su questo nuovo dato, anche se Giovanni è morto da diversi anni.

La notizia arriva dal quotidiano La Nazione, a firma di Stefano Brogioni, giornalista che da anni si occupa della vicenda del Mostro di Firenze.

Chi e perché decise di non uccidere anche Natalino Mele?

Una delle domande alle quali dovranno rispondere le indagini è chiara: Natalino è stato risparmiato perché l’assassino di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco sapeva chi fosse il vero padre?

Non è mai stato chiarito neppure come abbia fatto quella notte Natalino, che non ricorda nulla, ad arrivare a una casa lontana circa due chilometri dal luogo del delitto.

Il test del dna è stato eseguito dal genetista Ugo Ricci, lo stesso che ha ritrovato tracce di materiale biologico di Andrea Sempio sulle unghie di Chiara Poggi. Questa novità ha spiazzato Natalino Mele che ha dichiarato di non aver mai “neanche conosciuto” Giovanni Vinci.

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Com’è avvenuto il test del dna

Le analisi sono state effettuate dopo un’intuizione investigativa del 2018 quando l’inchiesta venne archiviata. All’epoca era indagato l’ex legionario Giampiero Vigilanti. Ai carabinieri del Ros venne commissionato di prelevare segretamente il dna di un figlio di Salvatore Vinci e di Natalino Mele.

Nel primo caso, il test si è rivelato utile ad attribuire a Vinci uno straccio ritrovato vicino a un pezzo di stoffa con tracce di sangue e polvere da sparo, trovato il giorno dopo il delitto di Vicchio del 1984. Pezzo di stoffa che però è andato perso.

Questo nuovo elemento, l’identità del vero padre di Natalino, potrebbe aiutare a spiegare i tanti misteri che ancora oggi sono irrisolti. L’arma del delitto utilizzata, una pistola, non è mai stata ritrovata. E per gli inquirenti, la stessa che ha ucciso Locci e l’amante, avrebbe ucciso anche le altre sette coppie dal 1975 al 1985.

L’arma del delitto mai ritrovata, ma per il giudice è passata di mano in mano

Secondo la sentenza di condanna (di primo gradi) nei confronti di Pietro Pacciani, l’arma sarebbe stata la stessa, ma non la mano di chi l’ha usata nel primo delitto attribuito al Mostro di Firenze. Per gli inquirenti, il duplice omicidio di Signe è stato compiuto da Stefano Mele, il marito tradito.

Oltre a lui e Pacciani, sono stati collocati in questi delitti anche i compagni di merende Giancarlo Lotti e Marco Vanni. Oggi sono tutti morti, ma il nipote del postino, Paolo Vanni, ha chiesto la revisione della condanna nei confronti dello zio. Ad oggi, i giudici di Genova non si sono ancora espressi su questa richiesta.

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