Cosa sappiamo del profilo genetico maschile trovato sul tampone orale di Chiara Poggi, che non era mai stato analizzato prima.
È ormai di dominio pubblico la notizia del dna maschile trovato nella bocca di Chiara Poggi, che fu prelevato diciotto anni fa e analizzato soltanto in questi giorni dai periti nominati dalla Procura di Pavia, nell’ambito della nuova inchiesta sul delitto di Garlasco, che vede indagato Andrea Sempio.
Queste tracce di cromosoma Y – cioè maschile – non apparterrebbero né all’amico di Marco Poggi né all’unico condannato in questa vicenda, Alberto Stasi, che sta scontando una pena a 16 anni nel carcere di Bollate. Considerando che i pubblici ministeri della Procura di Pavia, guidati dal procuratore Francesco Napoleone, ipotizzano il concorso in omicidio, la notizia di questo materiale genetico sul tampone utilizzato per le analisi nella bocca della vittima sta convincendo alcuni commentatori che nella villetta di via Pascoli quella mattina ci fossero anche altre persone.
Ma la realtà, è che è molto presto per avanzare ipotesi di presunti colpevoli e di una nuova storia alternativa alla verità giudiziaria. Gli esami sono estremamente delicati. E già i primi accertamenti nell’ambito dell’incidente probatorio, al netto di future ulteriori analisi, non hanno aggiunto né tolto nulla alle indagini fatte in passato.
Ad esempio, sul tappetino del bagno sono state trovate soltanto le tracce di Chiara Poggi e la famosa impronta 33, quella del palmo di una mano, trovata sulla parete destra delle scale dove la giovane fu trovata cadavere, non conterrebbe sangue, ma solo sudore.
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Di chi è il dna nella bocca di Chiara Poggi?
Allo stesso modo, le tracce di questo dna ignoto emerse dal tampone orale, potrebbero rivelarsi inutili ai fini delle indagini. Da una prima risultanza delle analisi della genetista Denise Albani, incaricata dalla gip della Procura di Pavia Daniela Garlaschelli, è emerso che la quantità di questo profilo genetico è minima e non è escluso che possa trattarsi di una contaminazione.
Stiamo parlando di una prima estrazione, ma pare che il dna possa appartenere a qualcuno che all’epoca ha maneggiato, per esempio, una garza con la quale venne prelevato il materiale. Stando a fonti qualificate, potrebbe appartenere a un assistente del medico legale Marco Ballardini, che si occupò dell’autopsia e dei tamponi al corpo di Chiara Poggi.
Verranno effettuate ulteriori analisi per verificare questa tesi e se ci siano esiti tali da poter avere davvero un profilo unico e confrontabile. “È presto per tirare delle conclusioni”, ha detto Dario Radaelli, uno degli esperti nominati dalla famiglia della vittima. “È come se dalla prima stringa di un’equazione complessa si ritenesse già di conoscere il risultato finale”.
Quindi: non c’è alcuna svolta nelle indagini, almeno per ora. Perché non ci sono certezze che la mattina del 13 agosto 2007 ci fosse qualcun altro nella villetta di via Pascoli. E tutto dovrà essere chiarito nelle prossime settimane. O mesi.
Tizzoni (legale Poggi): “Non ci sono dna sconosciuti sulla scena del crimine”
Gian Luigi Tizzoni, avvocato della famiglia Poggi, ha dichiarato: “Non ci sono dna di soggetti sconosciuti sulla scena del crimine e ovviamente tanto meno sul corpo di Chiara”. Quindi è “un dato che per quanto possiamo sapere, è totalmente destituito da qualsiasi fondamento e che ancora una volta denota come, in assenza di riscontri oggettivi alternativi alla verità processuale accertata e che ha individuato Stasi quale responsabile, prospetta ipotesi infondate”.
Ci sono altri elementi al vaglio di Albani e del collega dattiloscopista Domenico Marchigian. Una delle poche certezze finora emerse è il profilo del dna di Alberto Stasi sulla cannuccia dell’Estathe, trovato su uno dei reperti della spazzatura che non erano mai stati analizzati.
Ma la prova regina, per la Procura, è il dna sulle unghie di Chiara Poggi
Ma in realtà la Procura di Pavia punta tutto su un elemento principale: il dna sulle unghie di Chiara Poggi, in parte attribuito ad Andrea Sempio. I periti hanno chiesto questo materiale al professore De Stefano, il quale ai tempi dell’Appello bis a Stasi aveva ritenuto che non fosse sufficiente. Non si sa ancora quando verrà analizzato nuovamente.
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Queste ultime novità, secondo Massimo Lovati, avvocato di Sempio, “spostano soltanto l’equilibrio della possibilità di inquinamento delle prove che ci fu durante una prima indagine, per il resto non abbiamo elementi concreti per poter dire altro”.
Nella vicenda è intervenuta con una nota ufficiale anche la famiglia Cappa, attraverso gli avvocati Antonio Marino e Gabriele Casartelli, esprimendo “profondo sdegno” e “viva indignazione” per il “reiterato proliferare” di “sedicenti testimoni, supertestimoni e improvvisati esperti, le cui dichiarazioni – false, gravemente diffamatorie e calunniose – ledono in maniera sistematica l’onorabilità, la reputazione e la dignità dei suoi componenti”.
L’appello ai giornalisti della famiglia Cappa: “Raccontate la verità”
I Cappa hanno “già provveduto a formalizzare presso le competenti Autorità Giudiziarie atti di denuncia nei confronti dei soggetti resisi responsabili di condotte calunniose e diffamatorie”. E ancora: “Le azioni legali già intraprese saranno estese, senza eccezioni, a chiunque – a prescindere dalla qualifica o dal ruolo rivestito (giornalista, opinionista, legale, consulente tecnico, cittadino privato) si renda autore della diffusione, anche reiterata, di notizie infondate, incomplete, non verificate, lesive dell’onore e della reputazione della famiglia Cappa”.
La famiglia ha anche lanciato un appello ai giornalisti: “Si astengano dal contribuire all’ingiustificata spettacolarizzazione” del dolore della famiglia Poggi. “Impegnandosi invece a fornire una narrazione fondata su criteri di veridicità, correttezza e rispetto per la dignità delle persone coinvolte e con il solo fine di perseguire la verità dei fatti”.