Ripetute violenze sessuali, disponibilità di smartphone e armi, rivolte, evasioni, traffico di droga e complicità di alcuni agenti di polizia penitenziaria: benvenuti nell’inferno del carcere La Dogaia di Prato.
La Procura della Repubblica, che ha parlato di una “situazione fuori controllo”, ha ordinato questa mattina un nuovo blitz nell’istituto penitenziario La Dogaia di Prato che ospita anche l’alta sicurezza, destinata a soggetti pericolosi imputati o condannati per mafia o terrorismo.
Il bilancio dei controlli comprende una lama, tre cacciaviti, caricabatterie per telefoni cellulari, cuffie, scarpe con doppiofondo. E poi un telefono cellulare nascosto in un altro doppiofondo ricavato nello sportello di un frigorifero. È solo l’ennesimo capitolo di un’inchiesta molto ampia. Solo nell’ultimo anno sono stati sequestrati quarantuno telefoni cellulari, tre schede sim e un router.
“Ma il numero reale di dispositivi utilizzati dai detenuti potrebbe essere ancora più alto. – ha spiegato il procuratore Luca Tescaroli – La situazione è segnata da un pervasivo tasso di illegalità e da un sistema incapace di garantire sicurezza e dignità. La risposta dello Stato sarà ferma e costante”. L’attenzione dei pm su La Dogaia, dov’erano emersi già episodi di violenza, è alta da mesi, ma nelle ultime settimane le indagini hanno subìto un’accelerata.
Nel luglio del 2024 i pm hanno indagato ventisette persone tra detenuti ed agenti della penitenziaria. Tre poliziotti risultano tuttora indagati per corruzione. Il timore è che siano stati a libro paga dei criminali. Già allora era emerso che entrava di tutto a La Dogaia. Modernissimi smartphone e droga passavano dai colloqui coi parenti, in plichi postali non sottoposti a scanner. Oppure con il lancio di fionde da oltre il muro di cinta, alto circa quattro metri, con il tiro di palloni. Che poi i detenuti più liberi raccoglievano.
Diverse celle sono risultate avere le pareti forate per ricavare nascondigli dove custodire gli apparecchi. Il 6 giugno scorso, invece, l’aggressione in carcere subita da Vasile Frumuzache, il vigilante 32enne reo confesso dei due delitti di Ana Maria Andrei e Denisa Maria Adas, escort date per scomparse. Il responsabile sarebbe un detenuto romeno che voleva vendicare l’omicidio di Ana Maria, sua parente, e che per questo ha versato un pentolino di olio bollente sul volto di Frumuzache.
“È un dato di fatto – ha spiegato Tescaroli – che non si è riusciti ad assicurare il richiesto controllo e protezione nei confronti del Vasile Frumuzache, poche ore dopo il suo ingresso in carcere”. Per quell’episodio sono indagati altri tre agenti per i reati di rifiuto di atti d’ufficio e di lesioni colpose. Si tratta di un 24enne originario di Caserta, un 40enne di Belvedere Marittimo, un 45enne di Napoli.
Dopo questo episodio è scattata una nuova operazione in cui oltre cento detenuti sono stati perquisiti. A quasi un anno dal primo blitz è risultato che nulla era cambiato. Nella struttura erano entrati illecitamente telefonini, cocaina e hashish a uso dei reclusi, compresi boss di mafia e camorra, oltreché capi di bande di trafficanti di droga.
Dal 1 luglio 2024 al 1 luglio 2025, si sono inoltre verificati cinque episodi di evasione, certificati dalla Procura con una nota del 5 luglio. Le fughe sono avvenute sia con modalità classiche, ovvero l’evasione diretta dal carcere, sia durante permessi premio o permessi per necessità. In almeno due casi, i detenuti erano stati autorizzati a soggiornare presso la Casa accoglienza Lacques Fresh. Si tratta di una struttura della Caritas diocesana utilizzata, secondo quanto emerso dalle indagini, anche per il traffico e l’occultamento di sostanze stupefacenti. Per queste vicende sono indagati quattro detenuti e due agenti.
Poi, i disordini. In un altro capitolo dell’inchiesta sono stati ipotizzati i reati di resistenza, lesioni e danneggiamenti. Nel corso di una delle ultime rivolte una decina di detenuti si è barricata nella media sicurezza tentando di incendiare materiali, brandendo spranghe e cacciaviti e sfondando i cancelli con brande. È servito l’intervento di agenti antisommossa a riportare la calma. In un altro episodio simile cinque detenuti, italiani, marocchini e libici, hanno minacciato gli agenti: “Stasera si fa la guerra. Si muore solo una volta, o noi o voi”.
In quelle celle, però, si sarebbero consumati anche episodi di violenza sessuale e torture tra detenuti definiti “agghiaccianti” dalla Procura. Il primo caso risale al settembre 2023. Un 32enne brasiliano è accusato di aver violentato ripetutamente il compagno di cella pachistano minacciandolo con un rasoio. L’uomo è ora indagato per violenza sessuale aggravata.
Il secondo caso, avvenuto tra il 12 e il 14 gennaio 2020, riguarda due detenuti, di 36 e 47 anni, che avrebbero torturato e stuprato per giorni un compagno tossicodipendente e omosessuale alla sua prima esperienza carceraria. Giorni di percosse, schiaffi, pugni su braccia e spalle e ginocchiate all’addome e alla schiena e offese verbali. Tutto per ottenere rapporti orali: colpi con una mensola di legno alla testa, pugni e ginocchiate alle costole, minacce di morte. Non solo.
Sincerandosi che i poliziotti non si avvicinassero, in orario pomeridiano, avrebbero costretto la vittima ad abbassarsi i pantaloni e a subire penetrazioni reiterate a turno. Le gravi lesioni riportate si sono accompagnate a gravi traumi psicologici, con conseguenze perdurate per mesi. I due aguzzini sono stati rinviati a giudizio e il processo è in corso.
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“È al vaglio la condotta di alcuni appartenenti alla polizia penitenziaria. – hanno fatto sapere dalla Procura – All’interno della struttura carceraria pratese si registrano svariate condotte a base violenta da parte di detenuti in pregiudizio di altri, che i sistemi di controllo non riescono ad arginare. Si sono verificati, al contempo, negli ultimi anni, gravi episodi di tortura e di violenza sessuale che rendono insicura, degradante e non dignitosa la vita da parte dei detenuti ristretti, già privati del bene supremo della libertà in quanto reclusi in carcere per delitti commessi“.
Questa mattina, quindi, “solo” un nuovo tassello di un puzzle dell’orrore. L’inchiesta dei pm ha l’obiettivo di “sottrarre ai detenuti il controllo del carcere”. Dove nonostante i ripetuti blitz sono stati utilizzati, mediante l’uso di almeno tre diversi router, un grappolo di ulteriori telefoni non rinvenuti nel corso delle precedenti ispezioni. E dove un altro detenuto, ristretto in alta sicurezza, è riuscito persino a postare su TikTok la foto della propria cella.