Alberto Stasi resta in regime di semilibertà, nonostante l’intervista rilasciata al programma Mediaset Le Iene durante un permesso premio per ricongiungersi alla famiglia.
A deciderlo è stata la I sezione penale della Corte di Cassazione. I giudici hanno rigettato il ricorso presentato dalla Procura generale di Milano contro l’ordinanza del 9 aprile 2025. Ovvero, contro il provvedimento cui il Tribunale della sorveglianza di Milano aveva concesso la semilibertà ad Alberto Stasi.
Bisogna ricordare che Stasi si trova nel carcere di Milano Bollate dal 2015. Sta scontando una pena definitiva di sedici anni per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco. Per il delitto sono ora in corso nuove indagini da parte della Procura della Repubblica di Pavia che vedono come indagato per concorso in omicidio “con Stasi o altri” Andrea Sempio, amico del fratello della vittima.
Sulla reale colpevolezza di Stasi, dapprima assolto e poi condannato in un processo bis, specie nell’ultimo periodo e con la riapertura dell’inchiesta, in molti hanno espresso dubbi. L’intervista rilasciata a Le Iene, andata in onda il 30 marzo, andava proprio in questa direzione. Per la Pg, però, Stasi allora era andato oltre il regolamento dei permessi premio, che possono essere concessi per motivi familiari, culturali o di lavoro.
L’intervista, secondo la Procura generale, necessitava di un’autorizzazione specifica. Per la difesa, invece, Alberto non doveva richiedere alcun permesso. La Suprema Corte ha sposato quest’ultima tesi: l’ex bocconiano potrà continuare a lasciare il carcere per recarsi al lavoro. Come già accennato, inoltre, Stasi e i suoi legali, attendono nuove svolte dall’inchiesta di Pavia per poter richiedere una revisione del processo che ha portato alla condanna a sedici anni di carcere.
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Al momento, però, non ci sarebbero nuovi elementi significativi in tal senso. Venerdì 4 luglio pm, avvocati, consulenti e periti si riuniranno per portare avanti una nuova udienza dell’incidente probatorio. Dalle prime analisi sulle campionature dei trenta fogli di acetato, contenenti una cinquantina di impronte, non sarebbe stato trovato materiale sufficiente per estrarre profili di dna comparabili. Stesso discorso per l’ormai nota impronta 10 sulla porta di ingresso. La traccia era considerato dagli investigatori la presunta “mano sporca” del killer.
L’ipotesi investigativa era già in parte smentita dall’assenza di sangue sull’impronta (l’Obti sarà comunque ripetuto su richiesta della difesa Stasi) e data la quantità di dna estratta dai fogli di acetato è impossibile estrarre un profilo genetico con cui sostenere la tesi di più killer sulla scena del crimine. La difesa Stasi sperava di poter ricavare dall’impronta il secondo nome di chi, oltre a Sempio, avrebbe lasciato il suo dna sulle unghie della vittima. I risultati, insieme agli esiti genetici raccolti sulla spazzatura conservata nell’abitazione di via Pascoli, saranno al centro del confronto di venerdì 4 luglio.
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Sui rifiuti conservati in casa Poggi i risultati hanno restituito la presenza del dna di Stasi sulla cannuccia dell’Estathè. La traccia genetica della vittima risulta invece evidente sul sacchetto dei cereali trovato nel salottino, sui due vasetti di Fruttolo, oltre che sullo stesso sacchetto del pattume. Ci sarà anche un approfondimento sul frammento del tappetino del bagno su cui l’assassino lasciò le impronte delle suole insanguinate.
“Ad oggi, non solo l’analisi genetica dei reperti rinvenuti nella spazzatura, ma anche gli esiti emersi dalle analisi svolte sugli acetati, – ha detto Angela Taccia, legale di Andrea Sempio – confermano ancora una volta che il mio assistito non si trovava sulla scena del crimine, come da anni lui stesso afferma. Per ora, anche gli accertamenti scientifici sin qui svolti, confermano dunque la sua totale estraneità in questa terribile vicenda. Non poteva essere altrimenti, ma attendiamo comunque fiduciosi, rimanendo sempre concentrati”.