Terremoti in Campania, tremano Vesuvio e Campi Flegrei. Mastrolorenzo (Ingv): “Nessun collegamento”. Nuovo studio sul sisma dell’Irpinia del 1980

Alcuni terremoti avvenuti in Campania hanno fatto scattare nuovamente gli allarmi riguardanti Vesuvio e Campi Flegrei.

Nelle scorse ore la Campania è stata scossa da ben tre terremoti: due hanno interessato il Vesuvio, uno i Campi Flegrei. “Ma è bene precisarlo subito: i fenomeni non possono essere in alcun modo collegati. È vero che ci sono studi sull’innesco, ma riguardano i grandi terremoti”.

Giuseppe Mastrolorenzo dell'Ingv
Terremoti in Campania, tremano Vesuvio e Campi Flegrei. Mastrolorenzo (Ingv): “Nessun collegamento”. Nuovo studio sul sisma dell’Irpinia del 1980 (INGV FOTO/NOTIZIE.COM FOTO) – Notizie.com

A parlare in esclusiva per Notizie.com è Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. I sismografi hanno rilevato due eventi sismici superficiali nell’area del Vesuvio, di magnitudo 2.2 e 2.6, e uno nella zona dei Campi Flegrei di magnitudo 2.2. Bisogna ricordare che qui da mesi sono in atto terremoti dovuti al fenomeno del bradisismo.

Abbiamo ascoltato il parere di Mastrolorenzo anche per quanto riguarda un importante studio, basato sul terremoto del 1980 in Irpinia, pubblicato proprio in queste ore. Si tratta dell’evento che ha colpito la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale di magnitudo 6.9 che ha provocato oltre 2900 vittime e 280mila sfollati. Una catastrofe che ha fatto da spartiacque nelle ricerche sui terremoti.

“Un punto di svolta fondamentale nella ricerca”

Parliamo di un terremoto che, in ordine di vittime e di magnitudo, è il terzo nel ‘900 del sud Italia dopo Reggio Calabria ed Avezzano. – ha spiegato l’esperto – È stato un punto di svolta fondamentale nella ricerca in sismologia con centinaia e centinaia di lavori di altissimo livello per capire come si era verificato questo terremoto. Un cambio totale di prospettiva dal punto di vista scientifico”.

Ben tre segmenti di faglia si sono rotti in successione in 40 secondi, interessando un’area vastissima ci circa 17mila chilometri quadrati lungo l’asse dell’Appennino. Il sisma è avvenuto in un momento in cui c’era un grande fermento di nuove teorie geologiche sull’effetto della collisione fra Africa e Eurasia. Lo spostamento della faglia, per quasi 40 chilometri, è stato addirittura osservabile in superficie nei pressi del monte Marzano.

L’ultimo studio sul terremoto dell’Irpinia è incentrato sulle relazioni esistenti tra sismicità e rocce crostali nell’area. È stato pubblicato sulla rivista Tectonics dell’American Geophysical Union e fornisce il primo modello integrato geologico-geofisico tridimensionale della regione fino ad una profondità di 14 km. “Si tratta di un modello avanzato del sottosuoloha chiarito Mastrolorenzo – nel quale sono stati utilizzati tutti i dati disponibili per una indagine sismica di riflessione locale”.

Una tomografia della terra

Parliamo di una sorta di tomografia della terra realizzata con onde sismiche. Le onde meccaniche vengono generate artificialmente e si propagano nel sottosuolo per determinare variazioni della velocità delle cosiddette onde P, le prime, le più veloci, e poi le onde S. Poiché non possiamo sapere esattamente quali sono le caratteristiche delle rocce nel sottosuolo, questo ci serve a determinare le proprietà elastiche, la rigidità, la presenza di fluidi. Inoltre le rocce fratturate e porose hanno un rapporto fra P e S diverso rispetto a quelle rigide.

Per fare tutto ciò sono stati elaborati sia dati provenienti da monitoraggio sismico sia dati da pozzi per finalità industriali. È emerso che ci sono due zone particolari. Una superficiale, tra i quattro ed i sei chilometri di profondità, ed un’altra tra i nove e i dieci chilometri.

Mastrolorenzo a Notizie.com: “Ricerche importantissime, ma siamo ancora lontani dal fare previsioni”

Nella prima si trovano depositi marini dell’antico oceano che si sono sovrapposti per creare l’Appennino. Qui circola acqua e la sismicità è legata a questi processi. Nella seconda è stata rilevata la presenza di formazioni cristalline che generano terremoti di natura più compressiva ma di bassa magnitudo. “Queste ricerche sono utilissime per capire il sottosuolo ma ovviamente – ha continuato il primo ricercatore Ingvnon ci consentono purtroppo di fare previsioni su quale sarà l’evoluzione futura”.

Conosciamo nel dettaglio le proprietà delle rocce in profondità, – ha spiegato Giuseppe Mastrolorenzo – però i terremoti sono processi ancora imprevedibili perché non sappiamo precisamente dove si trovano le faglie che sicuramente si attiveranno in futuro. Con questi sistemi ad alta risoluzione possiamo individuare delle strutture ma non possiamo capire qual è il loro stato di carico, ovvero lo stress accumulato. Nell’Appennino sono in atto processi geodinamici attivi da centinaia di migliaia o di milioni di anni, e lo saranno ancora nel prossimo futuro. L’unica difesa che ci resta è, sapendo con certezza che si tratta di un’area in cui certamente si verificheranno in futuro altri terremoti forti, puntare sulla prevenzione“.

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