L’analista politico Cochi, focus sul continente africano e sul terrorismo di matrice islamica

Marco Cochi, analista politico e giornalista, è l’autore del blog Afrofocus, dove cerca di raccontare tutti gli aspetti del continente africano, con particolare attenzione al terrorismo di matrice islamica.

Cochi segue le vicende da due decadi dell’Africa, su cui ha scritto 4 libri e oltre settanta tra saggi e rapporti di ricerca pubblicati su riviste scientifiche. Sempre attento a riportare una narrazione positiva dell’Africa, senza però minimizzarne gli endemici ed enormi problemi.

Quando si parla di Africa si percepisce una sottostima nella rappresentazione del continente e non sono molto le notizie che arrivano sui conflitti in corso. Puoi spiegarci perché accade?

La cosiddetta informazione mainstream, quella delle testate giornalistiche occidentali, troppo spesso non tiene conto del fatto che l’Africa per estensione è il terzo continente del globo, che comprende un territorio vastissimo ricco di cultura, risorse e paesaggi unici. I media dei paesi più sviluppati tendono ancora a privilegiare la diffusione di notizie che confermano i luoghi comuni sul continente africano accumulatisi nel corso del tempo e ampiamente diffusi nelle società del cosiddetto Nord del mondo, dimenticando che si tratta di una realtà estremamente complessa, in costante evoluzione, dal punto di vista sociale, politico ed economico. Anche il fenomeno dell’insorgenza jihadista in molti aree dell’Africa, pur essendo estremamente letale e violento, per molti versi sembra essere sottovalutato dai media e dall’opinione pubblica occidentali, che non riservano molta attenzione alla crescente minaccia del radicalismo islamico nel continente. Una scarna trattazione, che sembra non tenere conto delle molteplici e diverse caratteristiche del jihadismo africano e al tempo stesso non tiene molto in considerazione la situazione politica, sociale e di sicurezza dei paesi interessati dal problema“.

Terrorismo di matrice islamica

Puoi aiutarci a ricostruire la genesi e la diffusione del terrorismo nel continente?

Attualmente diverse regioni dell’Africa sono caratterizzate da un’elevata instabilità, che trovano origine nell’ancora incerto consolidamento delle forze di sicurezza dei singoli Stati, nella porosità delle frontiere, nelle rivendicazioni territoriali su base etnica e nella presenza di gruppi estremisti islamici attivi nelle zone. Nel corso degli anni, i gruppi legati ad al-Qaeda e allo Stato islamico hanno trovato terreno fertile per la propria espansione in aree grigie o in zone frontaliere incontrollate, arrivando a minacciare la sicurezza e la stabilità di una ventina di paesi. Queste formazioni armate hanno alimentato insurrezioni e conflitti in cinque regioni dell’Africa, che tradizionalmente rappresentano i maggiori epicentri del radicalismo religioso del continente. Una criticità riconducibile al duplice rapporto causa-effetto originato dagli annosi contrasti di natura etnico-sociale e dalla perdurante instabilità politico-economica“.

Come si delinea attualmente il fronte islamista in Africa, tra le formazioni armate affilate e/o alleate all’ISIS?

L’Africa sta diventando sempre più strategica per lo Stato islamico, che vi trova terreno fertile per la radicalizzazione e l’espansione dei propri interessi. La conferma dell’importanza che riveste il continente per il gruppo jihadista arriva dall’editoriale apparso lo scorso 16 giugno su al-Naba, il settimanale di propaganda dell’Isis, che loda i suoi combattenti e li incoraggia a emigrare nella regione per stabilire nuove basi operative.

Il principale gruppo affiliato allo Stato islamico attivo in Africa è l’Iswap (la provincia dell’Africa occidentale dello Stato islamico), che opera soprattutto nella Nigeria nord-orientale e nel bacino del Lago Ciad.

L’Iswap in realtà è la più potente fazione del movimento jihadista Boko Haram, sorta dopo la scissione interna dell’agosto 2016. L’altra fazione ‘autonoma’ del gruppo è la Jas (Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad), che dopo l’eliminazione nel maggio dello scorso anno del suo storico leader Abubakar Shekau, ha visto il passaggio di molti suoi membri nei ranghi dell’Iswap. Tuttavia, la Jas può ancora contare su alcune unità della sottofazione guidata da Ibrahim Bakura, attiva nelle paludi e le isole del lago Ciad settentrionale“.

E in quelle legate ad al-Qaeda?

Gli altri due gruppi estremisti più temibili nel continente sono al-Shabaab e la Jama’atNusrat al-Islam wal Muslimeen (Gruppo per il sostegno dell’Islam e dei musulmani) entrambi appartenenti alla galassia di al-Qaeda.

Al-Shabaab rappresenta la cellula somala di al-Qaeda, che l’ha formalmente riconosciuta nel febbraio 2012. Dall’inizio del 2007 fino alla seconda metà del 2010, il movimento ha avuto il controllo di buona parte del territorio somalo. Poi, la sua espansione si ridusse gradualmente a partire dalla fine di agosto 2010, quando gli islamisti furono costretti a ripiegare sotto l’offensiva congiunta dell’esercito governativo e delle truppe dell’Amisom (la missione di peacekeeping dell’Unione africana). Nel 2012, probabilmente per rimediare alla perdita di influenza, al-Shabaab attraverso un video annunciò la sua alleanza formale con al-Qaeda, anche se il network jihadista era già presente in Somalia dal novembre 2002, quando alcuni suoi membri vi avevano trovato rifugio per progettare l’attacco all’Hotel Paradise di proprietà israeliana a Mombasa, in Kenya.

Dai primi mesi del 2015, la sua capacità offensiva è tornata a materializzarsi in tutta la sua violenza, come dimostrano i centinaia di attacchi sferrati in tutta la Somalia e le stragi compiute contro i contingenti militari e obiettivi civili.

Nell’ultimo Country Report on Terrorism, pubblicato lo scorso dicembre dal Dipartimento di Stato Usa, è evidenziato come “attualmente la milizia islamista mantiene il controllo de facto su vaste zone della Somalia, nelle quali ha ampia libertà di movimento e la capacità di reclutare nuovi affiliati”.

Mentre il Gruppo per il sostegno dell’islam e dei musulmani è stato istituito il 2 marzo 2017 con la benedizione di al-Qaeda nel Maghreb Islamico, che da tempo perorava la fusione sotto un’unica sigla dei principali gruppi legati ad al-Qaeda, di stanza nel Sahel. Il movimento armato sta espandendo le sue aree di operazioni in gran parte degli Stati della regione e portando a termine nuovi attacchi con sempre maggiore efficacia. Prima di riunirsi, i quattro gruppi jihadisti che operano sotto la sigla del Gsim avevano già roccaforti in tutto il Mali settentrionale e centrale.

Dopo la fusione, il cartello saheliano di al-Qaeda ha consolidato la sua influenza in queste aree infiltrandosi nel vicino Burkina Faso e ampliando il suo raggio d’azione nel Mali meridionale e occidentale, nonché nel Niger occidentale. Inoltre, la coalizione islamista ha organizzato attacchi nel nord della Costa d’Avorio, in Togo e nel Benin, manifestando la sua intenzione di estendere la sua attività verso i paesi del Golfo di Guinea.

Nel frattempo, il gruppo estremista tiene saldo il controllo delle sue roccaforti nella cosiddetta “zona dei tre confini”, che unisce le frontiere di Niger, Burkina Faso e Mali; mentre continua gradualmente a sviluppare la capacità di contrastare il potere statale non solo nel Mali, ma anche nei paesi vicini.

Qual è il ruolo ed il peso delle nazioni ex-colonialiste nell’Africa contemporanea?

L’arbitraria divisione coloniale dei confini africani ha contribuito in maniera rilevante ai problemi attuali del continente causando la frammentazione di gruppi etnici in diversi paesi. Questo ha provocato diversi conflitti intrastatali e interstatali, come nel caso del Ruanda, Nigeria e Sudan. Senza dimenticare, gli effetti delle Primavere arabe in Nord Africa, in particolare in Tunisia, Libia ed Egitto, sulle quali ha indubbiamente pesato il retaggio degli ex colonizzatori“.

La subordinazione culturale, economica, sociale del continente nei confronti dei paesi occidentali, ma anche dei più recenti potentati economici mondiali come la Cina lascia qualche spazio per poter immaginare un’Africa che riesca finalmente ad “alzarsi da sola”?

Una domanda molto difficile alla quale posso provare a rispondere considerando che un continente così essenziale per la crescita degli altri paesi è ancora isolato nei contesti internazionali, rappresentando un esiguo 3% del commercio globale. Nello stesso tempo, non riesce a rompere le barriere e i protezionismi che impediscono ai suoi prodotti di andare sui mercati esteri. E se valutiamo che per milioni di giovani africani la realtà è fatta di sacche di povertà estrema, di abbandono delle campagne e urbanizzazione forzata, senza alcuna prospettiva futura di lavoro. Una condizione di frustrazione che può anche risolversi con l’affiliazione a gruppi estremisti, nei quali, come confermano attendibili studi, la religione incide in maniera assolutamente minore della condizione economica nella scelta di entrare a farne parte“.

In un simile contesto, è possibile parlare di una nuova corsa all’Africa, dovuta soprattutto alle risorse del continente?

Nel marzo 2019, l’autorevole rivista britannica The Economist, pubblicò un articolo in cui parlava della nuova corsa all’Africa da parte di varie nazioni, sottolineando l’apertura di numerose  ambasciate nel continente e l’aumento degli investimenti stranieri, soprattutto da parte dell’India. E spesso si disserta di neocolonialismo nei confronti dell’Africa da parte di attori internazionali di estremo rilievo come l’India o la Cina, che a seconda delle narrazioni vengono indicati come i maggiori artefici dello sviluppo o del sottosviluppo del continente. Indubbiamente l’Africa dovrebbe prestare attenzione al rischio di affogare sotto l’ingente flusso di finanziamenti e la rilevante mole di investimenti che arrivano da questi paesi.

La direzione giusta sarebbe quella di adottare una strategia comune di sviluppo continentale, che per alcuni versi si è consolidata con l’entrata in vigore dell’African Continental Free Trade Area (AfCFTA), la più grande area di libero scambio al mondo per numero di Stati membri. In pratica, l’Africa dovrebbe intraprendere una via autonoma di sviluppo ed evitare di farsi depredare delle proprie risorse, senza cadere ancora una volta nella logica del continente in vendita. Quello di cui ha invece bisogno è una strategia unitaria, che le offra la capacità di relazionarsi e di agire come un attore unico per diventare protagonista del suo futuro“.

 

Marco Cochi
Marco Cochi, analista politico e giornalista

Qual è il ruolo della Russia nel grande gioco geopolitico per la “conquista” neocoloniale dell’Africa?

Alla fine di ottobre 2019, si è tenuto il primo Forum Russia-Africa con i rappresentanti dei 54 Paesi africani. L’evento ha segnato un nuovo paradigma di collaborazione tra i due attori, rafforzando i legami diplomatici e aumentando la presenza economica russa nel continente. Mosca però non ha trascurato l’ambito militare, come dimostra il fatto che a partire dal 2020, l’agenzia statale russa per l’esportazione di armi (Rosoboronexport) rappresenta uno sbalorditivo 49% delle importazioni di armi in Africa.

Negli ultimi anni la presenza russa nel continente africano è cresciuta in maniera esponenziale dalla fine del 2018, si segnala della presenza dei “mercenari” del gruppo Wagner corsi in aiuto di regimi instabili come la Repubblica Centrafricana e il Mali. In quest’ultimo paese, i contractor russi stanno praticamente rimpiazzando i militari francesi della missione Barkhane, che lo scorso febbraio hanno formalizzato il loro ritiro dal Mali.

Ufficialmente però la presenza di Wagner in Africa è fino ad oggi negata da Mosca, ma sempre confermata da Parigi. Nella sostanza, la Russia di Vladimir Putin sta penetrando nei paesi dell’Africa occidentale, dove la presenza francese, eredità della colonizzazione, viene più contestata“.

Mentre l’Africa deve ancora riprendersi dalle ripercussioni socio-economiche della pandemia di COVID-19, il conflitto tra Russia e Ucraina rappresenta una grave minaccia per l’economia globale. I Paesi africani ne sono direttamente colpiti?

Quando dopo i due anni di pandemia si stava avvicinando la ripresa anche per l’Africa, l’invasione russa dell’Ucraina ha annullato le speranze di crescita socio-economica del continente. Negli ultimi dieci anni, la macroregione ha registrato una crescente domanda di colture di cereali, in particolare grano e girasole, sostenuta principalmente dalle importazioni piuttosto che dalla produzione locale. Le importazioni di grano dall’Africa sono aumentate del 68% tra il 2007 e il 2019, quando hanno raggiunto i 47 milioni di tonnellate.

Da questi dati è facile dedurre che il conflitto sta avendo un impatto assai negativo sulla sicurezza alimentare in Africa, dovuto anche al fatto che  la Russia e l’Ucraina sono i principali esportatori di grano e semi di girasole in Africa. La guerra ha bloccato il normale rifornimento del grano da Ucraina e Russia, facendo esplodere il prezzo dei cereali e in generale di tutte le derrate alimentari e anche dei prodotti africani disponibili sul mercato. Purtroppo, le popolazioni locali non sono in grado di affrontare una simile emergenza, mentre i salari rimangono bloccati“.

L’Africa potrebbe trarre in qualche modo giovamento dall’attuale crisi geopolitica?

Sebbene le implicazioni socio-economiche siano già considerevoli e la situazione rimane imprevedibile, l’Africa dovrebbe considerare l’attuale crisi geopolitica come un’opportunità per ridurre la propria dipendenza dalle importazioni alimentari dall’esterno del continente.

I paesi africani dovrebbero sfruttare la loro quota del 60% di terra arabile a livello globale per coltivare più cibo per il consumo interno ed esportare nei mercati internazionali. Ciò ridurrebbe significativamente il numero di africani che affrontano l’insicurezza alimentare causata da shock esterni“.

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