Davos, il quadro impietoso: quando pandemia fa rima con disuguaglianza

No, non ne stiamo “uscendo migliori”. Nei soli due anni di pandemia i dieci uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni, guadagnando al ritmo dei secondi che scorrono cifre stratosferiche. 

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(Ansa)

Chi era convinto che dalla pandemia ne saremmo “usciti migliori”, almeno per quanto riguarda l’aspetto economico e le diseguaglianze dovrà sonoramente ricredersi. In soli 24 mesi di pandemia il capitale delle dieci personalità più ricche del mondo è passato da 700 a 1.500 miliardi di dollari. Un ritmo di incremento pari a 15.000 dollari al secondo, 1,3 miliardi di dollari al giorno.

Dati che fanno rabbrividire e che indicano l’incancrenirsi di un nuovo assetto internazionale economico, e non solamente economico. Quello che i dati mostrano è una nuova disposizione umana, centrata su una nuova forma di dominio sul Pianeta, un neo-feudalesimo globale e globalizzato, in stile hi-tech, che si nutre di fenomeni come la pandemia di Covid-19. E lo fa in maniera estremamente avida.

Il quadro impietoso che emerge dal rapporto di Oxfam

Un quadro impietoso che emerge dal rapporto di Oxfam, titolo “La pandemia della disuguaglianza”, presentato in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos, luogo simbolo dell’élite finanziaria e retroguardia di ogni manovra economica mondiale. É da Davos che nasce uno degli spauracchi più pericolosi del nostro tempo, quello del cosiddetto “Great Reset” pandemico, target di coloro che intendono utilizzare la crisi della pandemia per ristrutturale gli assetti produttivi e informativi, quindi economici, del Pianeta.

L’associazione ha spiegato che dal momento dello scoppio dell’emergenza pandemica un nuovo miliardario si è unito ad una élite composta da oltre 2.600 super-ricchi ogni 26 ore. Fortune molto ingenti ma riservate a una ristretta cerchia di uomini, che sono cresciute, tra marzo 2020 e novembre 2021, in termini reali di ben 5 mila miliardi di dollari.

L’esempio di Amazon e del numero uno della società, Jeff Bezos, da questo punto di vista è lampante. Tutti in questi due anni ci siamo serviti della sua piattaforma per fare acquisti, i più svariati. Ebbene, in questi stessi due anni il suo patrimonio è letteralmente decollato, facendo registrare un “surplus patrimoniale” nei primi 21 mesi di pandemia di 81,5 miliardi di dollari, una cifra pari al costo stimato per vaccinare l’intera popolazione mondiale.

Nel mentre, nonostante i tanti discorsi che si ascoltano nei consessi internazionali sulla parità di genere, la pandemia ha impietosamente colpito anche la condizione delle donne, che nella sua interezza soltanto nel 2020 ha perso reddito pari a 800 miliardi di dollari. Le stime per il 2021 parlano di un ulteriore calo di occupazione femminile di 13 milioni di unità. 

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E se di fronte alla crisi produttiva le banche centrali non hanno fatto mancare il loro supporto e sono intervenute prontamente, immettendo enormi quantità di risorse per sostenere l’economia, di certo queste non sono andate in mano ai più svantaggiati o nella lotta alla diseguaglianza, anzi. La maggior parte di tali risorse “sono finite nelle tasche dei miliardari che cavalcano il boom del mercato azionario”, ha denunciato la direttrice di Oxfam International Gabriela Bucher.

L’impennata del settore farmaceutico e la crescita degli “working poor”

Ovviamente, il settore che ha registrato il boom più significativo è quello farmaceutico. I monopoli detenuti da Pfizer, BioNTech e Moderna nella produzione di vaccini contro il Coronavirus ha permesso loro di realizzare utili “per 1.000 dollari al secondo e creare cinque nuovi miliardari”.

Vaccini che sono finiti in mano alle persone che vivono nei Paesi a basso reddito in una percentuale inferiore all’1 per cento della produzione complessiva, determinando una vaccinazione ferma a meno del 5 per cento della popolazione. Così la percentuale di persone che muore a causa del Covid-19 nei Paesi in via di sviluppo è circa il doppio di quella dei Paesi ricchi.

I numeri, purtroppo, non esentano l’Italia da questo triste declino politico ed economico fatto di diseguaglianze crescenti e in maniera sempre più sproporzionata. Oxfam ha infatti spiegato come dal 2020 ad oggi in Italia più di un milione di individui e 400.000 famiglie siano sprofondati nella povertà, proprio mentre la concentrazione della ricchezza continuava a crescere inesorabile nelle mani di pochi.

Nel nostro Paese, la ricchezza in mano all’1 per cento più ricco della popolazione è così continuata ad aumentare, dopo che a fine 2020 il 5 per cento della popolazione italiana possedeva ricchezza superiore a quello dell’80 per cento più povero della popolazione. I patrimoni dei paperoni italiani sono cresciuti, nel periodo tra marzo 2020 e novembre 2021, del 56 per cento, attestandosi – dati registrati lo scorso novembre – a 185 miliardi di euro.

Numeri che dovrebbe quindi fare pesantemente riflettere, e quantomeno preoccupare, in relazione al presente ma anche e soprattutto al futuro, alla strada tutta in salita che le nostre società stanno imboccando. Visto e considerato che la ripresa occupazionale che si sta tentando di sbandierare in questi mesi non sembra essere affatto trainata da lavoro stabile. Lo scenario paventato dagli economisti e dalle organizzazioni umanitarie è quello di un vero e proprio esercito di “working poor”, lavoratori poveri, in crescita di oltre il 6 per cento rispetto agli anni novanta. 

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(Ansa)

Un esercito, appunto, di persone in difficoltà e vittime di ingiustizie. Uomini e donne che nonostante il proprio lavoro si trovano comunque in uno stato di povertà economica e materiale. Una nuova normalità, che dovrebbe spaventare ma che continua invece a passare sotto traccia, offuscata dai dati dei contagi comunicati in maniera incessante, che sotterrano ogni altra discussione, per lasciare spazio al confronto continuo sule scelte di contrasto alla crisi pandemica, nei suoi aspetti sanitari, dimenticandone però altri. Che un domani, però, potranno fare ancora più male.

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