Morta la giornalista Silvia Tortora, la vicenda giudiziaria del padre Enzo

Figlia del giornalista e conduttore televisivo Enzo Tortora e della sua seconda moglie Miranda Fantacci, aveva seguito le orme del padre

Addio a Silvia Tortora. La giornalista è deceduta all’età di 59 anni, in una clinica a Roma. Figlia del giornalista e conduttore televisivo Enzo Tortora e della sua seconda moglie Miranda Fantacci e sorella maggiore di Gaia, dal 1985 ha iniziato a collaborare con Giovanni Minoli a Mixer. Dal 2004, sempre con Giovanni Minoli, ha collaborato al programma La storia siamo noi. Ha lavorato al settimanale Epoca dal 1988 al 1997 e nel 1999 ha vinto il nastro d’argento al Festival di Taormina come “migliore soggetto cinematografico” con il film di Maurizio Zaccaro, “Un uomo perbene”. Silvia è stata anche scrittrice: nel 2002 ha curato il libro Cara Silvia, edito da Marsilio Editore e nel 2006 ha pubblicato Bambini cattivi, sempre con Marsilio Editore. Il primo settembre 1990 ha sposato l’attore francese Philippe Leroy da cui ha avuto due figli, Philippe e Michelle.

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Tortora ha seguito le orme di suo padre, spendendo gran parte della carriera in Rai. Insieme alla sorella minore Gaia, è sempre stata in prima linea nel difendere e seguire la vicenda del padre nel corso del processo, che lo vide condannato per associazione camorristica e poi assolto, ma anche dopo la morte.  La vicenda giudiziaria di Enzo Tortora comincia alle 4 del mattino del 17 giugno 1983, quando il giornalista e conduttore televisivo fu tratto in arresto dai Carabinieri con l’accusa di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico. Ad incastrarlo furono le dichiarazioni dei pregiudicati Giovanni Pandico, Giovanni Melluso, Pasquale Barra, legato a Raffaele Cutolo e altri 8 imputati nel processo alla cosiddetta Nuova Camorra Organizzata. A queste si aggiunsero le accuse del pittore Giuseppe Margutti, pregiudicato per truffa e calunnia, e di sua moglie. Questi ultimi dichiararono di aver visto Tortora spacciare droga negli studi di Antenna 3.

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La vicenda

Si arrivò così a tredici false testimonianze e a 19 pentiti che accusarono Tortora. Accuse rivelatesi poi tutte infondate, mentre la vicenda si concluse con un assegno di rimborso del valore di 800.000 lire. Ma intanto le reti Rai avevano già mandato in onda ininterrottamente le immagini del conduttore in manette mentre le storie false per falsi scoop iniziarono a circolare nell’ambiente giornalistico. Pochi lo difesero, molti dell’ambiente lo attaccarono senza pietà. Il 17 gennaio 1984 vennero concessi gli arresti domiciliari e il giorno seguente Tortora, dopo 271 giorni di carcerazione, poté lasciare il carcere di Bergamo, dove era rinchiuso dal 14 agosto. Il 20 luglio 1984 Tortora tornò libero ma il 17 settembre 1985 fu condannato a dieci anni di carcere per le accuse di altri pentiti, finendo dal 29 dicembre agli arresti domiciliari. Il 15 settembre 1986 Enzo Tortora fu assolto con formula piena dalla Corte d’appello di Napoli e, il 20 febbraio del 1987, tornò al suo “Portobello”.

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