Molte province campane sono state interessate nei giorni scorsi da una serie di terremoti che hanno allarmato la popolazione. L’analisi dell’esperto dell’Ingv.
“L’Appennino meridionale è un’area estesa in cui sono attive diverse strutture. Le faglie spesso le conosciamo proprio grazie ai terremoti: localizzando l’evento sismico, comprendiamo dove è avvenuta la rottura, a quale profondità e con quale estensione”.
A parlare, in esclusiva per Notizie.com, è il vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). Nei giorni scorsi diverse scosse di terremoti hanno fatto tremare l’Irpinia e le province di Napoli, Salerno e Benevento. Il sisma più forte ha raggiunto la magnitudo 4. Non ci sono stati feriti o particolari criticità, ma la gente si è riversata in strada e qualcuno ha preferito non dormire in casa. La mente, ovviamente, è a quanto avvenuto nel 1980, anno del devastante terremoto in cui morirono quasi 3mila persone.
“Nel terremoto del 1980 – ha continuato Mastrolorenzo – fu osservata una dislocazione in superficie lungo un sistema di faglie di circa 40 chilometri, con una durata della scossa di 40 secondi. Quella fu una sequenza complessa, con una decina di eventi. Le scosse attuali, invece, non coincidono con quel sistema di faglie del 1980, anche se si trovano più o meno nella stessa area.
Sono diverse per profondità, ora parliamo di 14-16 km, mentre nel 1980 era entro i 10 km, e anche per meccanismo: si tratta di un meccanismo inverso, mentre nel 1980 era diretto. Gran parte dei terremoti dell’Appennino, infatti, sono legati a faglie dirette, cioè di tipo estensionale, perché l’Appennino è soggetto a processi di distensione tra i bacini e la catena montuosa. Le faglie dirette producono un abbassamento relativo di un blocco rispetto all’altro. In questo caso, invece, parliamo di una faglia inversa, cioè compressiva”.
Le scuole sono rimaste chiuse in tutta l’Irpinia a titolo precauzionale. L’intera aera è stata attraversata da uno sciame sismico. La scossa più forte è stata registrata a Montefredane, a una profondità di 14 km. Decine le chiamate ai vigli del fuoco. I Centri operativi comunali (Coc) sono stati attivati su tutto il territorio provinciale e il Centro di coordinamento dei soccorsi presieduto dal prefetto Rossana Riflesso si è messo in contatto con il Dipartimento della Protezione civile e il Ministero dell’Interno. Il 23 novembre ricorrerà il 45mo anniversario del sisma del 1980.
“Una tomografia sismica condotta con le registrazioni degli ultimi 15 anni ha ricostruito, sulla base della velocità delle onde, le diverse proprietà della crosta terrestre. – ci ha spiegato l’esperto Ingv – Si osservano due zone principali in cui si generano i terremoti: una più superficiale (entro i 9-10 km) e una più profonda (oltre i 10 km).
Tutti i terremoti recenti sono stati localizzati nella fascia più profonda. Qui prevalgono i fenomeni compressivi, cioè quelli che hanno originato la catena appenninica a seguito della collisione tra la placca africana e quella euroasiatica, con l’interposizione della microplacca adriatica che si incunea sotto quella italiana. Quindi, i primi 15-20 km sono crosta terrestre, e questi terremoti avvengono verso la base della crosta, motivo per cui hanno caratteristiche diverse da quelli del 1980”.
Il Ministro per la Protezione civile Nello Musumeci ha detto che le scosse di terremoto nella zona di Avellino ripropongono la priorità della prevenzione strutturale nell’utilizzo delle risorse pubbliche. Ha anche puntualizzato di non essere a conoscenza “di quanto sia stato speso negli ultimi anni per la mitigazione del rischio sismico in Irpinia, e quante esercitazioni di Protezione civile siano state organizzate, specie nelle scuole. Ma non mi faccio troppe illusioni sui numeri”.
Ma perché i terremoti dell’Irpinia si sentono così tanto anche lontano? “Per le caratteristiche geologiche. – ha dichiarato Giuseppe Mastrolorenzo – Le rocce dell’Appennino sono molto compatte e permettono una propagazione efficiente delle onde sismiche su scala regionale. Inoltre, la magnitudo e la profondità (circa 16 km) fanno sì che la scossa si propaghi su un’area molto ampia. Non possiamo fare previsioni. Le sequenze sismiche possono durare a lungo o esaurirsi in breve tempo: non esiste una regola.
Il rischio sismico in Irpinia e nell’Appennino meridionale è permanente. Ciò significa che un terremoto può verificarsi in qualsiasi momento, non necessariamente preceduto da scosse. Il territorio è caratterizzato da sistemi di faglie multipli, con processi di accumulo continuo di energia che, prima o poi, devono essere rilasciati. Lo sforzo si concentra su una specifica faglia, ma l’intero sistema resta attivo. Le scosse di assestamento, in genere, si verificano dopo i grandi terremoti. In questo caso, l’assenza di una sequenza prolungata non è insolita”.