Oggi, martedì 2 aprile ricorre la Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo.
Secondo le stime del Ministero della Salute, soffrono di questo disturbo un bambino su 77 nella fascia di età compresa tra 7 e 9 anni. I maschi sono 4,4 volte più colpiti delle femmine.
“L’autismo è una condizione d’essere, non una patologia. Un modo di vedere la realtà intorno a sé e di regire ad essa in maniera particolare”. Così, ai nostri microfoni, Massimo Aureli, vicepresidente dell’associazione Autismo e Società Onlus, che opera a Torino e si occupa di formazione e inserimento delle persone autistiche nel mondo del lavoro attraverso progetti.
“Una delle parti che compone l’autismo – spiega – è quella sensoriale. Luce, colore, odori, possono mettere in difficoltà e creare manifestazioni comportamentali particolari. A questo si aggiungono le relazioni interpersonali, la coscienza del sé anche in relazione agli altri. L’autismo è un modo differente di leggere la realtà e relazionarsi con essa, rispetto alla modalità tipica a cui ci riferiamo normalmente”.
Dottor Aureli, qual è la scala dell’autismo?
“Ufficialmente si compone di tre gradini. Il primo è caratterizzato da un funzionamento più efficace e vicino a quello tipico. Un tempo veniva chiamato Asperger. Riguarda soggetti che hanno una capacità relazionale più o meno tipica, ma che conservano stranezze operative, piccole manie e modalità di relazione particolari. C’è poi il gradino intermedio, quello più frequente. È caratterizzato da grosse difficoltà comportamentali, di lettura del mondo, grosse necessità personali dal punto di vista di stereotipie, modalità ripetitive di operazioni. Infine, c’è il terzo livello, in cui la problematica comportamentale è altissima e supera qualunque altro meccanismo. Si può essere efficienti e intelligenti ed essere in grado di svolgere svariate mansioni. Ma se il comportamento è in difficoltà non si riesce a restare in società”.
Quanto è diffuso in Italia l’autismo?
“Un paio di anni fa si era intorno all’1% dei nati. Oggi si misura 1 su 40 nati”.
Ciò è dovuto a un reale aumento dei casi o semplicemente ci sono più diagnosi rispetto a prima?
“Certamente la capacità diagnostica è aumentata, quindi si è in grado di individuare persone autistiche che magari tempo fa rimanevano nell’ombra. Ma sono aumentate le cause scatenanti dell’autismo”.
Quali sono le cause dell’aumento dei casi, al di là delle diagnosi?
A che età viene diagnosticato l’autismo?
La ricerca su cosa si focalizza e a che punto è?
“La ricerca si focalizza molto sulla comprensione dei meccanismi che squilibrano lo sviluppo e i terreni su cui essi agiscono, per cui lo sviluppo si dirige verso l’autismo. La ricerca sta valutando questo tipo di percorso per capire dove parte e su chi ha più presa questa deriva. Poi, nel momento in cui si ha una persona autistica, la ricerca sta valutando tutte le possibili modalità di intervento per far fronte e dare sollievo alle persone in difficoltà”.
In che contesto si inserisce l’associazione Autismo e società?
Come si possono fondere i due mondi? Come si fa a stare vicino a una persona autistica?
“Ogni persona ha la sua modalità, Ci sono canoni sufficientemente generali come parlare poco, essere “di rimbalzo”, cioè attenti a come comunica la persona autistica che si ha vicino e adeguarsi a quel tipo di comunicazione. Per cui, se si ha vicino una persona che non è verbale e non riesce a esprimersi con le parole, evitare di parlare tanto. Al contrario, cercare di confrontarsi su argomenti che non siano ripetitivi per lui. In generale, bisogna capire la persona autistica e capire in che modalità si relaziona lui”.