Lapidazione in corso, sinistra a pezzi e sconfitta già processa Letta

La stampa “amica” bastona Enrico ancora prima dei risultati del voto E i colonnelli dem, da Bonaccini a Nardella, sgomitano per rimpiazzarlo

I sondaggi che girano dentro al Pd sono gli stessi che rimbalzano negli altri partiti e nelle redazioni. Non si possono pubblicare, la legge lo vieta. Si può però raccontare come stanno reagendo i dirigenti del Nazareno e chi sinora ha provato a tirare la volata ad Enrico Letta. E le cronache dicono che costoro già danno il segretario per politicamente morto, gli stanno celebrando il funerale e chi ambisce a rimpiazzarlo ha fatto le prime mosse in vista del congresso. Tutto (o quasi) avviene alla luce del sole, ignorando l’abbecedario della politica, che imporrebbe di fingere unità almeno fino alle 23 di stasera. Riemerge (non se n’era mai andato) il cinismo della ditta, quello che aveva spinto il predecessore di Letta, Nicola Zingaretti, a dimettersi sbottando: “Mi vergogno che nel Pd si parli solo di poltrone e primarie”.

Il segretario
Il segretario del Pd Enrico Letta all’uscita dal seggio elettorale (Ansa)

Il primo a prendere pubblicamente le distanze dal capo del Nazareno è stato Stefano Bonaccini, presidente della regione Emilia-Romagna. “Il Pd è smunto, depresso, scontento“, ha detto. “Come la convinciamo la gente così?“. Ha picconato la pietra angolare su cui Letta ha costruito la propria strategia elettorale: “Non è un voto tra buoni e cattivi“. E ha difeso il Jobs Act, che per il segretario è il simbolo della deriva liberista imposta da Matteo Renzi al Pd. Parole che hanno creato un forte fastidio a Letta e i suoi, per i quali “l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è parlare di noi e il Jobs act è una “non questione”“. Sul fronte opposto dello spettro piddino si è distinta la 37enne svizzero-emiliana Elly Schlein, esponente dell’ala sinistra, una che il segretario ha portato sulla scena nazionale nella speranza che attiri i voti dei giovani e della comunità Lgbt. Una, insomma, che a Letta deve qualcosa.

Letta in bilico, tanti i pretendenti: Bonaccini in pole

Il duello
Il segretario del Pd Enrico Letta e il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini (Ansa)

Succede che il 22 settembre lui dice che le strade dei democratici e dei Cinque Stelle «si sono divise in maniera irreversibile». Giuseppe Conte sentitamente ricambia, ripete che «con questi vertici del Pd non c’è prospettiva». E allora il 23 la Schlein si fa intervistare da Repubblica e sostiene l’esatto contrario del segretario: dal 26 settembre bisognerà «lavorare insieme al M5S». Su fondamentalismo ecologista e spesa pubblica, del resto, la sinistra del Pd e i Cinque Stelle sono in perfetta sintonia. E a pensarla come la Schlein sul M5S sono molti, tra cui il ministro del lavoro Andrea Orlando, che lo dice chiaramente, e il vicesegretario Peppe Provenzano, che per uscire allo scoperto aspetta che si sia posata la polvere delle elezioni siciliane. La Schlein, Orlando e Provenzano sono tra i probabili candidati alla successione di Letta, e una nuova alleanza con i Cinque Stelle è il primo punto della loro agenda. Bonaccini è un sicuro pretendente alla segreteria, solo che è con Renzi che vorrebbe ricucire.

Antonio Decaro, sindaco di Bari, si è mosso invece lontano dai riflettori, facendo sapere ai cacicchi piddini della sua regione che pure lui punta alla leadership nazionale del partito. L’ex renziano Dario Nardella, primo cittadino di Firenze, ha detto ai suoi che parteciperà se Bonaccini dovesse fare un passo indietro. La corsa è iniziata. Persino La Stampa, che sinora ha sostenuto la campagna elettorale del Pd rilanciando l’allarme contro lo spauracchio nero e l’introduzione del presidenzialismo, ieri ha avuto toni durissimi sulla strategia scelta da Letta, che pure era intervistato in quelle stesse pagine e prometteva che «la rimonta è possibile». Parole, le sue, che sembrano non aver convinto nemmeno le firme del quotidiano torinese, quattro delle quali si dedicano a vivisezionare la campagna di Letta. Scrivono che la «sensazione palpabile» è che «la corsa del Pd sia finita ancora prima di cominciare», e cioè il giorno in cui Calenda ha rotto l’accordo.

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