Fallito il primo assalto dei Pm a Fratelli d’Italia

Contro l’ex sindaco di Terracina resta solo un’accusa su cinque. Flop del magistrato che è lo stesso del caso Marta Russo

Molto rumore per nulla? Eh già, si direbbe proprio così. L’ex sindaca di Terracina, Roberta Tintari di Fratelli d’Italia, arrestata il mese scorso con l’accusa di corruzione, turbata libertà degli incanti e falso, è stata scarcerata questa settimana dal tribunale del riesame, fa notare il quotidiano Libero. I giudici hanno annullato ben quattro capi d’imputazione su cinque, di fatto smontando la maxi inchiesta della procura di Latina che aveva costretto Tintari alle dimissioni. Eppure leggendo il comunicato diramato dai pm il giorno della retata le prove parevano essere schiaccianti. Le indagini, infatti, avevano permesso di “disvelare e documentare condotte di pubblici funzionari, all’interno del Comune di Terracina, che appaiono finalizzate al perseguimento di interessi personali e non coerenti, dunque, con i compiti istituzionali“. Per arrestare la sindaca gli inquirenti non si erano fatti mancare nulla: “La complessa e articolata attività investigativa si è svolta con ispezioni, acquisizioni documentali, testimonianze, pedinamenti, intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche“.

Il simbolo
Il simbolo del partito che è primo nei sondaggi in Italia (foto Ansa)

L’inchiesta, denominata “Free Beach“, era stata condotta dalla capitaneria di porto e dai carabinieri alle dipendenze del procuratore aggiunto di Latina Carlo Lasperanza, magistrato noto alle cronache per aver in passato svolto le indagini sull’omicidio di Marta Russo, la 22enne studentessa romana colpita alla testa da un proiettile mentre camminava in un viale della Sapienza di Roma il 9 maggio del 1997. In quelli anni la Procura di Roma era nell’occhio del ciclone per diversi omicidi irrisolti, come il delitto di via Poma e quello dell’Olgiata. Per evitare un nuovo buco nell’acqua, Lasperanza, affiancato dal collega Italo Ormanni, non perse tempo e focalizzò l’attenzione su Gabriella Alletto, una dipendente dell’università. Il video dell’interrogatorio della supertestimone, ad oggi ancora reperibile su Radio Radicale, finirà sui media l’anno successivo, travolgendo la Procura di Roma. Nel filmato di 4 ore si vede la Alletto piangere e giurare sulla testa dei suo figli di non essere mai stata nell’aula 6 di filosofia del diritto da dove sarebbe partito il colpo mortale.

Il magistrato è Lasperanza, lo stesso che finì nella bufera per il caso Marta Russo

Meloni
Giorgia Meloni © Ansa

I due pm, allora, a turno si immedesimarono nel poliziotto “buono” e in quello “cattivo”, prospettando di incriminare la segretaria per omicidio (“lei va in carcere, e non esce più“). E la Aletto, che prima aveva negato, accuserà i ricercatori Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro di essere stati presenti in quell’aula. Il governo ed il Parlamento rimasero sono sotto shock per queste immagini. Per l’allora presidente del Consiglio Romano Prodi si trattò di una “vicenda gravissima“. Luciano Violante, presidente della Camera, accusò i due magistrati di “mancanza di deontologia: un magistrato ha nelle mani la vita, i beni, il futuro delle persone, deve essere educato a esercitare questi suoi poteri nel modo più rispettoso possibile“. Il ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick, sommerso dalle interrogazioni parlamentari, chiese una relazione al procuratore di Roma e l’avvocato Carlo Taormina presentò a Perugia una denuncia contro i due magistrati chiedendo che venisse accertato se nei loro comportamenti “siano ravvisabili fattispecie di reato“, quando prospettarono alla Alletto di una possibile incriminazione per omicidio.

Alla vigilia della decisione del giudice del capoluogo umbro sulla loro incriminazione accadde però un fatto senza precedenti: 80 pm della Procura di Roma firmarono una petizione in cui si evidenziava la correttezza dei colleghi, il cui agire si era sempre distinto “per equilibrio, preparazione tecnico-giuridica, impegno, profondo senso morale e assoluto rispetto delle garanzie processuali“. E il giudice il giorno dopo assolse entrambi perché “il fatto non sussiste“. Anche il Csm archivierà la pratica che era sta aperta nei loro confronti con 15 voti a favore e 14 astensioni, scrivendo che nell’interrogatorio non vi era stato alcun “atteggiamento persecutorio o inquisitorio“, semmai erano rilevabili condotte “discutibili“, ma si trattava comunque di “fatti isolati“. Lasperanza è adesso candidato alle prossime elezioni per Csm in una lista, pare, legata a Cosimo Ferri, magistrato e renzianissimo deputato di Italia viva sorpreso a maggio del 2019 con Luca Palamara a discutere presso un albergo della Capitale della nomina del futuro procuratore di Roma

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