Belpietro: “Il problema di Letta è che se si vota, lui perde”

Il segretario de Dem è seriamente preoccupato dai sondaggi ed è per questo che cerca in tutti i modi di ricomporre la situazione

Non ci va leggero il direttore della Verità Maurizio Belpietro sull’attuale situazione politica e su quella che sembra essere la strategia del segretario del Partito Democratico Enrico Letta. “Volete sapere perché il segretario del Pd Enrico Letta si sta dando tanto da fare per convincere un congruo numero di grillini alla retromarcia, così da poter chiedere a Mario Draghi di ripensarci e restare a Palazzo Chigi? La spiegazione sta nelle simulazioni elettorali che da tempo girano nelle segreterie dei partiti, in particolare a Largo del Nazareno. Si tratta di una serie di ipotesi costruite sui più recenti sondaggi, elaborate in base al numero di parlamentari dettato dalla riforma costituzionale del 2020. Da quando, su spinta del Movimento 5 stelle, si è dato un taglio agli onorevoli, passando dagli attuali 945 ai futuri 600, le maggioranze necessarie per comporre un governo sono cambiate“.

Belpietro
Belpietro in un articolo su ‘La Verità’ attacca il presidente Mattarella © Ansa

Non servono più 316 deputati e 158 senatori (esclusi quelli a vita), ma ne bastano 201 alla Camera e 101 a Palazzo Madama. Ed è da questi numeri e come li si possa raggiungere con l’attuale legge elettorale, il famoso Rosatellum, che si deve partire. Quando, anni fa, Matteo Renzi varò l’ennesimo meccanismo per eleggere i parlamentari, ne scelse uno che avrebbe dovuto consentirgli di governare anche senza maggioranza. O meglio: che gli permettesse di tornare a Palazzo Chigi anche se il Pd e i suoi alleati non avessero avuto i numeri.

Il piano era chiaro: facciamo una riforma che dia la vittoria alle coalizioni, escludendo chi corre da solo

Enrico Letta
Enrico Letta è già al lavoro per il voto anticipato in caso di rottura tra Draghi e il M5s © Ansa

Il piano era chiaro: facciamo una riforma che dia la vittoria alle coalizioni, escludendo chi corre da solo. Fin troppo evidente il disegno: in questo modo, a essere penalizzati sarebbero stati i grillini i quali, a differenza di centrosinistra e centrodestra, nei collegi uninominali si sarebbero presentati senza avere alcuna possibilità di spuntarla. Ma, contro ogni previsione, i pentastellati nel Mezzogiorno sbancarono, svuotando grazie alla promessa del reddito di cittadinanza i tradizionali serbatoi di voti della sinistra. Risultato: il Pd finì al 18% e i 5 stelle al 33, Renzi fu costretto a dimettersi anche da segretario, e noi ci ritrovammo Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, prima con la Lega e poi, grazie sempre a Renzi, proprio con il Partito democratico.

Dal 2019 a oggi, la sinistra che era uscita dalla porta, bocciata dagli elettori, è rientrata dalla finestra, governando prima con l’avvocato di Volturara Appula e poi con l’ex presidente della Bce. Tuttavia, i sondaggi in tutti questi anni hanno registrato una costante: qualora si tornasse al voto, a vincere sarebbe il centrodestra, in quanto se restasse unito spazzerebbe via la sinistra. E qui torniamo ai giorni nostri, con la proposta di campo largo fatta da Enrico Letta, ovvero di un’alleanza che imbarchi oltre all’intera sinistra, comunisti compresi, anche i 5 stelle. In pratica, come dimostrato dalle simulazioni, Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e i centristi di Noi con l’Italia (ammesso e non concesso che trovassero un’intesa) vincerebbero a mani basse, mentre mentre Pd, Leu, Renzi e i 5 stelle (anche in questo caso ammesso e non concesso che riuscissero a trovare la quadra per un «dentro tutti») quasi sicuramente perderebbero. Ecco qui spiegato molto semplicemente perché Letta strepita e si affanna per cercare di far rientrare in aula i grillini e rimettere in sella Mario Draghi. Con il voto, il Pd sarebbe fuori da Palazzo Chigi. Non sarebbe una tragedia per l’Italia e nemmeno per l’Europa e per il mondo. Lo sarebbe per il partito democratico e la sua armata di colonnelli senza truppe

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