La Cassazione ha chiarito gli aspetti della vicenda: lâuomo aveva parlato male dei suoi capi su Whatsapp finendo in unâaula di tribunale.
Aveva criticato i vertici dellâazienda, in una chat di Whatsapp in cui erano stati espressi giudizi e commenti al vetriolo. Quella conversazione, fra un dipendente di una azienda di vigilanza, e una ex collega, è stata oggetto di 3 gradi di giudizio per accertare le responsabilitĂ .
Ne è nata una causa, che ha portato il faldone in tribunale. La chat, i commenti, le espressioni incriminate. Ecco il perchĂŠ dei provvedimenti per aver âcriticatro e denigratoâ i responsabili dellâimpresa. A questa accusa per il Comandante delle Guardie Giurate si erano aggiunte altre contestazioni disciplinari per non aver denunciato lâaggressione subita da una guardia giurata su un autobus e per non aver segnalato per cinque mesi alla questura di Udine i turni di servizio.
In primo e secondo grado la conversazione era stata ritenuta âpriva di rilievo disciplinareâ, ma lâazienda non si era arresa arrivando in Cassazione. La sentenza però è stata chiara ed ha ribadito che non câè nulla da aggiungere a quanto riferito dalla Corte dâAppello di Trieste. âTali dichiarazioni â si legge â dovevano essere valutate specificamente nel contesto in cui erano state pronunciate. Vale a dire in una conversazione extralavorativa e del tutto privata senza contatto diretto con altri colleghi di lavoroâ.Â
Secondo lâazienda il canale Whatsapp avrebbe aumentato la potenzialitĂ âlesivaâ delle critiche, mentre la Cassazione ha ribadito che lo strumento di comunicazione è âirrilevanteâ. Niente sanzioni quindi per il Comandante delle Guardie giurate, che ne aveva dette di tutti i colori sul presidente e lâamministratore delegato della societĂ .