Assistenti vocali e anziani: una ricerca svela i benefici ma dimentica i rischi

Una recente ricerca è giunta alla conclusione che i dispositivi vocali dotati di intelligenza artificiale fanno bene agli anziani. Il rischio, però, è che si incrementi la solitudine degli stessi già in ascesa. 

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In una società in cui le relazioni umane sono in crisi crescente, e dove la solitudine aumenta come anche l’età media della popolazione, la bontà del binomio anziani e intelligenza artificiale potrebbe essere una buona notizia solo a metà. Eppure si tratta di quanto sembra realisticamente emergere da una ricerca condotta da EngageMinds Hub dell’Università Cattolica in collaborazione con DataWizard. E con il contributo, si aggiunge, non condizionante di Amazon.

L’impieghi di questi apparecchi elettronici dotati di intelligenza artificiale pare che incrementi il benessere emotivo e relazionale delle persone che hanno tra i 65 e gli 80 anni. Certo, bisogna innanzitutto comprendere di che genere di “relazione” si possa parlare, tra uomo e macchina, in quanto vi entrano in gioco molteplici questioni di natura etica legate all’utilizzo e alla diffusione delle nuove tecnologie. Che da tempo pongono numerose importanti domande.

I dati che emergono dalla ricerca

Siamo alle soglie della fine della società umana come l’abbiamo conosciuta, spinta in una condizione sempre più “post-umana”? Oppure viviamo solamente immersi in una grande “bolla” tecnologica? D’altronde, l’utilizzo di dispositivi elettronici è già da tempo una realtà consolidata con radio e televisioni. Ma nel caso degli assistenti vocali, ciò che accade è che l’utente instaura con questi una vera e propria relazione, appunto, fatta di domande e risposte, in grado di scimmiottare la reale presenza umana. Un dato che cambia in maniera determinante le cose.

Per la realizzazione del test sono stati coinvolti sessanta soggetti, costituenti un gruppo di uomini e donne tra 65 e 80 anni, a cui è stato fornito un dispositivo al fine di monitorarne i benefici o gli svantaggi. Al termine del periodo di studio, 3 soggetti su 4 hanno affermato che si sono sentiti meglio in termini emotivi, riportando una riduzione di stress psicologico e nervosismo.

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Oltre sei soggetti su dieci non si sono fermati a questo, ma hanno anche affermato di sentirsi “meno soli”. Risultati che non possono che essere presi in considerazione, specialmente se si considera la condizione di vita a cui la pandemia, e i relativi provvedimenti dei governi, ha obbligato tutti a sottostare: chiusi in casa, e per chi vive da solo in totale isolamento.

Le domande che non si possono eludere

Una vera e propria “rottura” del paradigma familiare, per sua natura comunitario e già in crisi da decenni a causa delle abitudini di vita sempre più frenetiche, aperte, in continua trasformazione, per motivi di lavoro ma anche per semplici e ormai comuni scelte di vita. 

Nella ricerca si afferma che il beneficio percepito dai partecipanti al test ha avuto una crescita che è proseguita anche dopo la fine della sperimentazione. C’è da chiedersi però se siamo certi che questi numeri, alla lunga, possano davvero indicare una realtà necessariamente positiva, o se al contrario ci siano altri fattori da prendere in considerazione, su lungo termine e su scala globale.

In sostanza, siamo davvero condannata a una società in cui gli anziani vengono lasciati soli a sé stessi, a “parlare” con dispositivi di intelligenza artificiale, e siamo altrettanto certi che dopo loro non arriverà il turno del resto della popolazione? Siamo cioè sicuri che la ricetta per contrastare la solitudine crescente nella società occidentale passi per l’utilizzo sempre più massiccio delle macchine?

Assistente vocale
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Domande che si spera possano presto rientrare in ricerche di natura scientifica altrettanto autorevoli, una volta presa atto di quest’ultima, così da avere un quadro più esaustivo della tematica.

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